Carissimi,
Siamo in piena estate e la voglia è di relax e tranquillità. Un po’ di riposo è doveroso per tutti… I fatti successi in Francia e in Germania, solo per citare i luoghi colpiti più di recente, ci allertano però che non può andare in vacanza la nostra consapevolezza sul momento storico che stiamo vivendo: ci vengono chieste lucidità, sapienza e coraggio, per noi e il nostro futuro. Vale anche per quanto sta succedendo in Sud Sudan e che ci vede direttamente coinvolti. Abbiamo sul posto quasi 700 operatori locali sud-sudanesi e oltre 50 medici, logisti e amministrativi internazionali.
Venti giorni fa a Juba, la capitale, sono ripresi gli scontri che hanno gettato di nuovo il paese nell’incertezza. Sembra che la fase acuta, quando nella città si sparava con gli elicotteri e i carri armati, sia stata superata, anche se il contesto continua a rimanere fragilissimo. Soprattutto stanno emergendo le conseguenze di questa grave insicurezza: migliaia di persone scappano in altre aree all’interno del paese e molte anche fuori, verso il confine con l’Uganda, nei campi profughi, già sovraffollati. Le condizioni igieniche e sanitarie sono critiche, i rifornimenti alimentari scarseggiano.
Nelle scorse settimane il vice presidente Riek Machar ha lasciato la capitale, rimanendo fuori città in una località non nota. Un altro rappresentante dell’opposizione, il ministro delle miniere Taban Deng Gai, è stato nominato nuovo vice presidente del governo guidato da Salva Kiir. La notizia non è stata accolta con favore da Machar e rivela un’ulteriore spaccatura nell’opposizione, divisa in due nuovi gruppi: uno più favorevole a governare con Kiir e l’altro, capeggiato da Machar, deciso a non ritornare indietro. Per questo gli ultimi sviluppi non sembrano un buon segnale per la risoluzione pacifica del conflitto.
Valerio Granello, il nostro rappresentante paese in Sud Sudan, racconta che negli ultimi giorni sono aumentati i movimenti di truppe in capitale, sembra per proteggere il nuovo vice presidente Gai e i suoi uomini. Machar però continua a mantenere il controllo sui ribelli armati che lo sostengono.
Un segnale positivo viene però dalla scelta di molte Ong di rientrare a Juba: un segno di fiducia e di impegno per le sorti dello stato più giovane del mondo.
L’area dell’ospedale di Lui, nella contea di Mundri East in Western Equatoria, per quanto lontana dalla capitale, ha risentito delle conseguenze delle violenze di Juba, come tutto il resto del paese. Ci sono grandi spostamenti di uomini, donne e famiglie, spaventate dal rischio dell’insicurezza, come racconta il nostro Giancarlo Ometto, medico e responsabile dell’ospedale.
«La gente cerca rifugio in posti più sicuri, scappa, è sbandata, senza punti di riferimento. Mangia poco o niente, sta piovendo molto e i bambini si ammalano molto più facilmente: diarree acute, malaria, parassiti della pelle, polmoniti. Ieri abbiamo ricoverato due bambini di un mese con una brutta polmonite: speriamo bene, perché quando sono malnutriti hanno meno difese e gli antibiotici spesso non sono efficaci. Per sapere se il bambino sta un po’ meglio chiedo alla mamma se ha ripreso ad allattarlo. Mi dice di sì, ma poi butto l’occhio sulla stuoia e non vedo nulla da mangiare: che latte le potrà dare, se non mangia?»
Nell’area di Lui, dopo lo scoppio dei disordini a Juba, si sono riattivati i gruppi degli “arrow boys”, ribelli armati vicini all’opposizione che già nel 2015 avevano cominciato azioni di guerriglia contro le forze governative.
«Qualche giorno dopo gli scontri in capitale – racconta sempre Giancarlo – il lunedì mattina abbiamo sentito dei colpi, come tuoni, fuori dall’ospedale. Non era un temporale: è stata una strana sensazione, molto brutta. Poi ho visto alcune mamme camminare in fretta per il recinto posteriore dell’ospedale. Sono sceso in reparto e l’ho trovato quasi vuoto, un’immagine irreale. Quella mattina non ho fatto il giro visite, non c’erano malati, quando di solito ne abbiamo dai 30 ai 50 in questo periodo. Tra i bambini “scappati” ce n’erano alcuni di molto malati, ma la paura delle mamme era troppa e sono fuggite. Quel giorno abbiamo poi allestito tre tendoni forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per dare riparo alle persone. Queste infatti il giorno dopo sono venute in ospedale, perché hanno capito che probabilmente era più sicuro di altri posti. Attualmente c’è ancora gente che dorme qui, nel nostro compound».
I disordini rendono complicati i collegamenti, con difficoltà per le persone, ma anche per i rifornimenti dei mercati e degli ospedali.
«Le strade, già difficilmente percorribili, diventano insicure e il trasporto più costoso con la conseguenza che alcune famiglie non portano i bambini o le donne incinte al dispensario o all’ospedale. Saltano le vaccinazioni, ma non solo: l’aumento del costo dei trasporti fa aumentare i prezzi del cibo, che qui per la maggior parte è importato: è difficile seminare e coltivare durante le guerre. Spero tanto di risentire il rumore dei camion sulla pista, non l’ho mai desiderato così tanto! Quando i camion riprenderanno a passare, vorrà dire che la situazione sociale ed economica del paese starà riprendendo, anche se però ripartirà, come sempre in questi casi, da un punto peggiore rispetto a quando era stata interrotta».
Ogni aiuto è importante: scopri come contribuire
Diversamente, la situazione nei Lakes State (dove si trovano gli ospedali di Yirol, Cueibet e il grosso centro sanitario di Maper) e nella città di Rumbek, va un po’ meglio.
I nostri volontari continuano a lavorare, anche se il clima sociale è molto teso (gli stipendi dei dipendenti governativi non vengono pagati da sei mesi), ma non ci sono scontri armati. Nonostante le preoccupazioni, sono sereni e non manca la voglia e l’entusiasmo.
Sara Pagin, trentanove anni, veneziana, è partita l’altra settimana come amministrativa per l’ospedale di Yirol. Non si è lasciata intimorire dalle tensioni in corso.
«Conosco la situazione complicata del Sud Sudan – raccontava Sara – e conosco anche la serietà del Cuamm che mi invia. Sono nata in un contesto fortunato e sento forte in me il desiderio di giustizia ed equità sociale. Partire mi sembra il modo migliore per fare la mia parte e per poter dare la stessa opportunità di base a tutti».
La maggiore preoccupazione che viviamo, soprattutto per la gente, è quella dei farmaci e del cibo. I bambini e le mamme malnutriti stanno drammaticamente crescendo. Il prezzo del riso, della farina e dei fagioli è salito molto e si fa tanta fatica a trovarli.
Coltiviamo la fiducia che il paese trovi presto la via della pace. Papa Francesco ha inviato qualche giorno fa il Cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, a Juba, per favorire il dialogo fra le parti. Ogni sforzo e tentativo deve essere fatto.
Grazie a ciascuno di voi per la vicinanza e l’affetto con cui ci accompagnate e ci sostenete. Il vostro aiuto e la vostra preghiera ci sorreggono e ci danno fiducia.
Un abbraccio.
D. Dante
P.S. Vi ricordo l’importante appuntamento di sabato 5 novembre a Padova. Concludiamo la prima fase (5 anni) del programma “Prima le mamme e i bambini” e rilanceremo la seconda fase (i prossimi 5 anni). Sarà con noi anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Segretario di Stato Vaticano, Card. Pietro Parolin. Vi aspetto tutti perché insieme possiamo davvero dare un segnale importante di vita e di futuro ad un paese e ad un pianeta che viceversa sembrano sconfitti e sopraffatti da logiche di morte e di paura.