Nei giorni scorsi ero in Sud Sudan. Un missione lampo per alcune questioni urgenti. Proprio mentre ero lì, lunedì 20 febbraio, il Governo del paese ha ufficialmente dichiarato una nuova e terribile emergenza: la FAME! Sta colpendo principalmente lo Stato di Unity, nel nord del paese, area che confina per larga parte con lo Stato dei Laghi, dove noi del Cuamm operiamo.
Le grandi agenzie internazionali delle Nazioni Unite hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui si richiama con forza l’attenzione sulla situazione di emergenza: 100.000 persone stanno rischiando di morire di fame in questa regione e, se non si interviene immediatamente, si teme che circa la metà della popolazione sud sudanese (5 milioni e mezzo) arrivi, entro luglio, a non avere accesso al cibo.
Sono trascorsi solo 6 anni dalla terribile emergenza alimentare che ha colpito la Somalia e che tutti ben ricordiamo. Ora un altro paese africano dichiara ufficialmente la “FAMINE”. E quello che più dà amarezza e sconforto è che in questo caso l’emergenza è dettata da un contesto di insicurezza, da una guerra civile per cui la gente muore o scappa. È l’insipienza dell’uomo che la sta causando. Una “MAN MADE FAMINE”, dove a morire di più sono, ancora una volta, le mamme e i bambini, dove l’odio porta a uccidere i propri fratelli, a seminare morte e disperazione. Il timore è che l’emergenza dilaghi e non rimanga confinata nello Stato di Unity.

Vincenzo, medico Cuamm a Cueibet (Stato di Gok) mi scrive:

“Si è notato, in questo periodo, un aumento dei casi di malnutrizione in ospedale, soprattutto nei piccoli sotto i 5 anni. Il fenomeno è legato, in questa area, alle gravi ripercussioni di un’economia inesistente che ha portato al collasso la moneta sud-sudanese, alla povertà e all’arretratezza di questa popolazione. Le ripercussioni di ciò che sta accadendo nelle zone vicine si percepiscono anche qui, ma saranno ancora più evidenti nei prossimi mesi”.

Mentre Flavio, direttore sanitario dell’ospedale di Yirol aggiunge:

“La fame fa paura anche a Yirol. Qui non ci sono raccolti persi perché i dinka sono un popolo di allevatori e pastori, ma il prezzo della farina e del riso, alla base della loro alimentazione, è ormai proibitivo soprattutto per la parte più povera della popolazione che vive nei villaggi più distanti”.

Di fronte a questa ingiustizia sentiamo ancora più forte la spinta ad esserci! A darci da fare, con tutti i mezzi possibili, per dare una risposta e fornire assistenza. Come Cuamm stiamo già lavorando a due importanti progetti per sostenere il trattamento della malnutrizione severa in 78 centri sanitari periferici. L’obiettivo è mettere in trattamento 9.600 bambini al di sotto dei 5 anni. Siamo sul campo con 1.023 operatori locali e 53 internazionali, di cui una ventina italiani

È difficile per noi, in Italia, capire fino in fondo cosa significa “morire di fame”. Ma proviamo per un attimo a immedesimarci in quelle donne che arrivano agli ospedali di Yirol e Cueibet o al centro di salute di Maper, con i loro bimbi malnutriti, piccoli che magari hanno 1 anno e pesano 5-6 kg! Penso a quanto difficile può essere per un padre non avere cibo da dare ai propri figli che te lo chiedono insistentemente, non per un capriccio o per attirare l’attenzione, ma solo perché hanno fame. E non riesco a rimanere indifferente.

Ieri anche Papa Francesco, al termine della consueta udienza generale, ha invitato a “non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti”. L’intervento che abbiamo già avviato si fa ancora più urgente, quindi, e ci chiede di intensificare le attività. Potremo farlo solo con il sostegno e l’aiuto di quanti vorranno impegnarsi al nostro fianco e non rimanere indifferenti a questo grande nuovo dramma che sta colpendo il Sud Sudan.

d. Dante

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