È così strano, sono passati solo pochi mesi, qui in Angola, eppure tutto intorno mi è familiare. Ho avuto qualche momento difficile, abbracciato dall’aiuto e dalla comprensione degli angolani che si sono preoccupati di non farmi sentire mai troppo sola o troppo triste, neanche a Natale.
Il progetto è avviato, non mancano le difficoltà e le battute d’arresto. Difficile mantenere alta la collaborazione senza promesse di denaro eppure adesso c’è un gruppo che si impegna a cercare soluzioni, incentiv,i non solo economici. Abbiamo elaborato i documenti, avviato le attività pratiche, inserito i dati, iniziato le supervisioni, coinvolto e responsabilizzato i locali. Le frustrazioni, le paure, le fatiche non hanno la forma delle parole, ma sono scritte negli occhi. E poi le vedi sciogliersi in un timido sorriso, in una battuta, in un pranzo consumato tra gli odori dei ricordi. Appena 600 test che non ci danno risultati significativi ,ma si progetta già un semestre in cui incrementare il numero di pazienti coinvolti nello studio. Una presenza più costante nelle sale consulta, una pianificazione delle supervisioni, un rafforzamento del ruolo del coordinatore, il consolidamento degli automatismi appresi. Coinvolgere i mass-media, aggiornare la formazione degli operatori e informare i pazienti. Loro sono lavagne linde su cui scrivere tanto e per bene. Un gruppo, dicevo in cui ognuno ha il suo ruolo e le sue responsabilità, una carovana che ora si muove lenta e silenziosa come una colonna di sherpa tra le nevi una vetta sconosciuta. Parto per strade che ormai conosco, mastico polvere che si posa sul cuore e che impasta emozioni e sentimenti. “Lo straordinario risiede nel cammino delle persone comuni” dice il passo del libro di Coelho trovato nella guest house che mi ospita e dove, adesso dopo solo due giorni di pioggia volteggiano fastidiosi sciami di zanzare. La malaria la vedi nelle gambe incerte di una guardia che lavora per non perdere 20.000 Kwnaza al mese (200 dollari).
Con me, durante il lavoro, porto sempre una scatola con tutto quello che può servire, guanti, questionari, disinfettante, cotone. Materiale di uso corrente, perché nei centri di salute nel territorio, dove arrivo per le supervisioni, manca sempre qualcosa. In Angola lascio solo quella: la caixinha magica. Così l’hanno soprannominata. A casa, mi porto gli sguardi e gli occhi di tante persone. Ho in mente gli occhi di un papà come Segundo: quando gli offro un dolce per i suoi gemelli, si riempiono di lacrime. Mezinha, non parla, fa solo dei versi, ma si fa capire, ti manda i baci e ride. I suoi sono occhi che si strizzano. Paulo, senza denti che da 4 mesi, mi vede passare in macchina e mi saluta, ma solo oggi trova il coraggio e mi viene a cercare, si scusa per il disturbo, ma ha un parente che deve essere operato e mi chiede informazioni. Il parente? Ha mentito, è per lui: occhi di gratitudine. Manuel, timido, piccolo come quando l’ho conosciuto. Lo chiamo, si avvicina, gli porgo un frutto, accenna un sorriso e va verso i suoi parenti, si siede su un sacco di carbone e mangia composto. Ha occhi innocenti. Mateus invece ha occhi che conquistano e mi “salva”: sono senza acqua e senza corrente, i fusibili sono troppo vecchi, il quadro elettrico è da cambiare. C’è poco da fare, serve almeno del filo per fare un collegamento, ma non c’è. Punta il manico di un secchio, un attimo ed è li che sguaina il manico con i denti. La luce è tornata. I suoi occhi mi puntano secchi, decisi, aggressivi: «una donna non può stare senza luce e senza acqua».
Piove e qui tutti ridono; bruciano i pali della luce e le persone sorridono: “c’è una vita sola”, “não se podese ficar tristi”. Si può essere stanchi, ma non tristi. Questo e molto altro mi porto nella mia di “caixinha magica”.