Nel luglio del 1967 si inaugurava la Facoltà di Medicina all’Università di Nairobi, alla cui fondazione Anacleto Dal Lago aveva dedicato tutte le sue energie negli anni precedenti, diventando poi docente di Anatomia Umana. A cinquant’anni di distanza vogliamo ricordare questo anniversario ripetendoci che «Formare personale sanitario nei e dei paesi poveri è – ed è sempre stata – una delle funzioni più importanti del Cuamm» così come scrive Maurizio Murru ricostruendo quegli anni nel libro La strada per l’Africa, dedicato ad Anacleto Dal Lago e uscito ad aprile.

Oggi questa funzione è più che mai fondamentale per la nostra organizzazione. In Africa possiamo contare 3 scuole per ostetriche e infermieri: a Lui, in Sud Sudan; a Matany, in Uganda e a Wolisso, in Etiopia. E ancora la Facoltà di Medicina dell’Università di Beira, in Mozambico, dove ogni anno si laureano giovani medici pronti per servire il proprio paese e disposti a muoversi nel continente per intervenire dove c’è più bisogno. Proprio un mese fa si laureavano gli ultimi studenti, 26 nuovi medici che vanno ad aggiungersi ai 270 degli ultimi 10 anni, quasi un quinto dei medici del paese.

Accanto a questi giovani africani volenterosi e pronti a fare qualcosa per cambiare il futuro del proprio paese, ci sono tutti quei giovani italiani ed europei che decidono di trascorrere un periodo di formazione in Africa insieme a Medici con l’Africa Cuamm con lo stesso obiettivo, cambiare il futuro di questo paese. A loro sono dedicati corsi e seminari in Italia, che svolgiamo nella nostra sede di Padova e che dal 2016 si sono svolti anche a Palermo, per offrire a giovani medici e specializzandi l’opportunità di comprendere e approfondire importanti temi di cooperazione sanitaria internazionale.

Una volta formati, questi giovani hanno la possibilità di partire per l’Africa con il programma Junior Project Officer che permette ai futuri medici di trascorrere un periodo della propria specializzazione in uno dei nostri paesi di intervento, e le attività in collaborazione con il SISM – Segretariato Italiano Studenti di Medicina – che da più di dieci anni fa toccare con mano agli studenti di medicina una realtà sanitaria diversa, tramite un’esperienza diretta di cooperazione internazionale in Africa che va sotto il nome di Wolisso Project.

Abbiamo sempre creduto nella condivisione della conoscenza e nel ruolo fondamentale di operatori sanitari consapevoli, che non sono semplici medici, infermieri, ostetriche, ma anche sostenitori attivi del diritto alla salute per tutti. Formarsi in Africa non è solo andare a sperimentare la propria professione in un contesto a risorse limitate, è una scelta che cambia la vita e la percezione della sofferenza e dei bisogni. Ogni partente torna cambiato, formato in un senso che nessun tirocinio in Italia può offrire, come esprime questa testimonianza.

«L’Africa insegna il valore del tempo e quanto il domani non sia un bene garantito a tutti. Nella mente ho fissa l’immagine quotidiana delle tante mamme disposte in fila, in attesa delle visite, attendendo il proprio turno per pesare i bimbi malnutriti (su una bilancia che funzionava a singhiozzo) e di noi che “sgomitavamo” per tagliare ogni giorno il traguardo agognato: il guadagno di qualche etto di peso, il raggiungimento della normotermia, un ritrovato appetito.
L’Africa insegna anche ad avere pazienza. Pazienza nell’aspettare i mezzi di trasporto, pazienza nell’attendere con speranza i miglioramenti clinici, pazienza per respirare e guardarsi intorno, non semplicemente sentendo distrattamente ma ascoltando davvero quanto ciò che ci circonda ha da regalarci e facendo caso al tempo che passa e che sta a noi riempire al meglio.
L’Africa è così accogliente, così drammatica, sempre pronta a dispensare aiuto o a farsi in quattro per aggiustare quello che si è rotto, il tutto condito da un’immancabile sorriso. Un mese è poco per accontentarsene, ma basta un primo sguardo per affezionarsene. Tutto questo mi faceva vibrare l’anima e sentire viva, mi nutriva di infinite emozioni. E tutto questo non me lo voglio dimenticare. La realtà africana è intrisa dell’odore di quella terra, di una canzone che non esce più dalla testa, delle fantasie tutte diverse delle lenzuola stese ad asciugare in un cortile pieno di statue a forma di giraffe, zebre e ippopotami.
Per certi viaggi non si parte quando si sale su un aereo. Si parte molto prima, già al solo sognarli e programmarli. Se ne avverte (quasi inspiegabilmente) il bisogno: si insinuano nella mente e da lì non ce li si leva più. E soprattutto da certi viaggi non si torna mai completamente, una parte del cuore prende dimora definitivamente in quell’ultimo miglio, lasciando a chi torna di quanto visto e provato un’eco che torna a parlare al cuore e ai ricordi quando meno lo si aspetta».

Anna Gozzi, specializzanda partita per Tosamaganga, Tanzania.

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