Giovane ostetrica di Biella, Beatrice Buratti, è stata per un anno a Damba, in Angola come cooperante di Medici con l’Africa Cuamm. Tra pochi giorni diventerà lei stessa mamma e oggi nella Giornata internazionale delle Ostetriche, ricorda con dolcezza e molto entusiasmo l’esperienza vissuta in Africa.
- Perché hai scelto di partire con il Cuamm e per un periodo così lungo?
Conosco Medici con l’AfricaCuamm da molti anni ed essendo di Biella la storia di Maria Bonino mi ha maggiormente avvicinato a questa Ong ispirata a valori cristiani. Prima dell’Angola ho fatto diverse esperienze brevi in Africa e poi col Cuamm ho avuto la possibilità di partire per un tempo più lungo, ma soprattutto, per svolgere la mia professione. Un anno può sembrare molto, può spaventare, ma in realtà passa velocemente.
- Cosa facevi in concreto?
Il mio lavoro si concentrava maggiormente in ospedale tra sala parto e reparto di maternità. Col tempo ho iniziato a uscire sul territorio per le cliniche antenatali e per le supervisioni nei Centri di salute. Inoltre ho dedicato molto tempo alla formazione del personale locale. A Damba mi sono anche occupata della Casa d’Espera Maria Bonino (struttura che accoglie donne in procinto di partorire nei giorni precedenti alla data presunta del parto) che mi ha permesso di conoscere veramente le donne angolane.
- Ricordi un episodio, un volto che ti ha particolarmente colpita?
Durante le visite antenatali in un piccolo villaggio, ho conosciuto due ragazzine di 13 anni, entrambe incinta. All’inizio sono rimasta sconcertata perché il loro volto e il loro modo di fare erano ancora quello di due bambine. La prima volta che hanno fatto la visita erano all’inizio della gravidanza. Ho spiegato loro l’importanza dei controlli mensili e quando se ne sono andate ero certa che non le avrei più riviste, perché avevano passato il tempo a ridere, proprio come fanno due ragazzine a quell’età. Invece si sono presentate sempre regolarmente ogni mese, hanno anche accettato di essere ospitate in Casa d’espera nell’ultimo mese di gravidanza, per essere vicine all’ospedale prima del parto. Insomma, tra le mie migliori mamme!!!
- Cosa ti porti dentro di questa esperienza?
È un’esperienza che segna e cambia la vita dal punto di vista umano e anche lavorativo. E’ difficile riassumerne l’importanza in poche righe perché conservo tutto nel cuore e nella mente. Ogni cosa che mi è successa è stata per me una fonte di riflessione e insegnamento
- Una volta rientrata hai ripreso il lavoro? L’esperienza in Africa ti ha aiutata oppure no?
Quando sono rientrata ho ripreso subito a lavorare in ospedale a Novara. Sapevo che poteva essere pesante dal punto di vista psicologico, ma ero pronta al peggio. Avevo voglia di rivedere la mia famiglia e i miei amici, di raccontare e, devo dire, che ho incontrato tante persone felici di ascoltare. Più di una volta durante il turno di lavoro, mi sono ritrovata a riflettere su cosa avrei fatto se fossi stata ancora in Angola; su quanto qui fosse tutto più semplice e immediato. Inoltre, in Africa, ho imparato un sacco di cose utili per la mia professione; in assenza di macchinari e materiale sanitario, il nostro cervello si attiva e rispolvera tante nozioni che qui leggiamo solo sui libri.
- Ora che sei “dall’altra parte” come mamma cosa provi? Come vedi le ostetriche?
Sono all’ultimo mese della mia prima gravidanza. Mai come in questi mesi ho pensato alle donne che ho incontrato a Damba. Io sono a casa dal lavoro, posso eseguire tutti gli esami necessari per essere sicura che tutto proceda bene, non devo fare chilometri a piedi per andare alle visite, non devo rinunciare a un parto sicuro, perché vivo lontana dalla città o perché non saprei come arrivarci, e non devo faticare tutto il giorno nell’orto per portare a casa la cena. Provo un grande fastidio per tutto ciò che di commerciale ruota intorno alla maternità qui in Italia.A Damba, con un solo pezzo di stoffa, le mamme vestivano loro stesse e vestivano il loro piccolo. Non avevano bisogno di niente altro. Come vedo le ostetriche in Italia? Abbiamo la fortuna di fare il lavoro più bello al mondo, di accogliere una nuova vita, di poterlo fare con un buon livello di sicurezza nei nostri ospedali moderni e attrezzati. In Africa la presenza di un’ostetrica in ospedale o sul territorio può salvare molte vite. Qui in Italia, dove tutto è più sicuro a livello di assistenza sanitaria, spesso noi ostetriche dimentichiamo la bellezza della possibilità che ci è data nell’assistere ogni donna che incontriamo nel momento più importante della loro vita.