Mi chiamano d’urgenza in maternità per una donna in travaglio con un’importante emorragia. Non appena la visito mi rendo subito conto che si tratta di una placenta previa. Non ci sono alternative: bisogna fare un cesareo urgente, anche perché l’emorragia si sta aggravando.

La donna però si rifiuta categoricamente di essere “tagliata”. A nulla servono le nostre spiegazioni sulla sua situazione, né dirle che senza cesareo sarebbero morti sia lei che il bambino. Chiamiamo le personalità più in vista e influenti dell’ospedale per cercare di convincerla, ma lei si rifiuta ostinatamente.

Arriva il fratello, cui viene rispiegato tutto da capo, lo facciamo parlare con un’altra donna che era stata sottoposta a cesareo il giorno prima e stava bene, a dimostrazione che non si va in sala a morire. Il fratello quindi si dice d’accordo e prova a convincere la sorella, ma niente. Arriva il padre della ragazza e tutto ricomincia da capo; anche lui acconsente, ma la ragazza è irremovibile, anzi dice che se ne vuole andare.

E intanto il tempo passa, lei si dissangua e le probabilità che il bambino sopravviva si riducono sempre più. Arriva mezzogiorno e ancora nulla: è seduta sfinita e debolissima sotto un albero dietro la maternità dell’ospedale. Arrivano tutti i familiari, poi i vicini, infine il capo villaggio, il guaritore tradizionale e tutti i personaggi pittoreschi e che contano del circondario. Si radunano tutti sotto l’albero e iniziano la riunione. Dopo due ore sono ancora lì.

Mi vengono a chiamare che sono ormai le 21, la donna ha finalmente accettato. Da parte mia stento a credere che sia ancora viva, ma prima di operare metto in chiaro che a questo punto per andare in sala voglio almeno due sacche di sangue a disposizione: l’ospedale infatti non ha riserve di sangue e quando serve sono i familiari che lo devono donare. Iniziano altre discussioni perché sono sempre tutti molto reticenti a donare il sangue, ma alla fine si trovano anche i donatori e le sacche necessarie.

Credo di aver fatto il cesareo più veloce della mia vita: miracolosamente il neonato era ancora vivo e, nonostante la sofferenza fetale dovuta all’emorragia, è sopravvissuto. La ragazza, dopo qualche ora di incoscienza per lo shock emorragico, se l’è cavata grazie alle trasfusioni di sangue. Ha continuato a guardarci con diffidenza, ma siamo comunque riusciti a dimetterla sana, con il suo bambino vivo.

Alessandra Cattani
Medico in Sud Sudan

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