Beira, capoluogo della provincia di Sofala, è stata il punto di arrivo di molte famiglie che scappavano dalle campagne e dalle foreste dell’interno del paese, per rifugiarsi in un posto più sicuro, durante la guerra civile che dal 1977, per 16 anni, ha lacerato il Mozambico. L’aumento della popolazione non è andato di pari passo con l’offerta di strutture adeguate ad accogliere l’improvvisa ondata migratoria: le persone andarono ad occupare hotel ed edifici dell’epoca coloniale ormai abbandonati, rivendevano il materiale pregiato per comprare beni di prima necessità. Intorno ai vecchi edifici si sono creati così agglomerati di baracche, privi di rete elettrica, idrica e fognaria, di cui il Grande Hotel rappresenta l’esempio più evidente. Un luogo in cui, ad oggi, si stima che vivano tra le tremila e le settemila persone: un villaggio abusivo dentro la città, dove mancano i servizi di base, compresi quelli sanitari.
Nelle scorse settimane il team locale di Medici con l’Africa Cuamm ha incontrato la popolazione del Grande Hotel: Damiano Pizzol, coordinatore per il Cuamm del progetto di ricerca con l’Università Cattolica del Mozambico, racconta come si è svolta la “missione”.
Le visite si svolgono all’aperto, all’ombra di una mafurreira, una grande pianta tipica del Mozambico, i cui frutti sono commestibili e la cui legna è usata dai pescatori per costruire imbarcazioni. Lo spazio sotto l’albero è la sede tradizionale delle riunioni degli anziani e luogo in cui si svolgono incontri importanti per discutere questioni interne al Grande Hotel: scegliamo questo luogo perché vogliamo far passare il messaggio dell’importanza delle visite mediche, dei controlli sanitari periodici e far vedere che si può convivere con persone portatrici di virus, continuando la lotta contro i pregiudizi che ancora troppo spesso condizionano le persone.
Al nostro arrivo notiamo un certo fermento nella comunità e pensiamo sia dovuto alla presenza di noi bianchi, così diversi, ma ci spiegano che si stanno mobilitando tutti perché da lì a qualche ora ci sarà il funerale di un bimbo, che giocando è caduto da un pianerottolo. Già, perché tutte le protezioni sono state rimosse per essere vendute, così capita spesso che al buio o giocando qualcuno finisca giù col collo rotto.
Durante le visite lo staff medico richiede sempre la presenza di un genitore o della persona responsabile del bambino, non solo per motivi legali ma anche per sfruttare l’occasione per sensibilizzare sulle necessità particolari dei bambini. Inoltre è questo un modo anche di conoscere sempre più in profondità la storia di ogni famiglia e poter disegnare interventi sempre più mirati sul contesto particolare del Grande Hotel.
Ad un certo punto, una donna sui 30 anni accompagna alla visita Nilsa, la figlioletta di nove anni. La madre è visibilmente ubriaca e dopo aver visitato la bimba la tratteniamo per cercarle di dire che non sarà di certo l’alcool a risolvere i problemi, e che Nilsa, orfana di padre, ha bisogno di una mamma che si faccia carico di lei, che deve essere lucida e presente. Quasi in lacrime, la donna ci confida di essere costretta a bere per trovare il coraggio di prostituirsi, per poter comprare un pezzo di pane da dividere con la figlia.
Non solo Nilsa deve fare i conti con situazioni famigliari difficili.
Più tardi si presenta una bambina sui quattro anni, accompagnata dalla nonna, che, alla fine della visita della piccola, trova il coraggio di chiederci se possiamo andare a visitare la madre che non sta bene. L’idea non è delle più entusiasmanti ma decidiamo comunque di andare. All’ingresso del Grande Hotel la signora imbocca le scale dei sotterranei, la luce è sempre più debole e scompare quando iniziamo a percorrere dei corridoi angusti delimitati da teli che costituiscono le pareti delle diverse baracche. La strada sembra infinita, anche se forse abbiamo percorso solo qualche metro. L’unica luce è una flebile lanterna, che illumina in un angolo il corpo scheletrico di una ragazza. Sono tre settimane che non esce e non mangia, ormai è all’ultimo stadio dell’infezione da Hiv.
L’esperienza delle visite mediche al Grande Hotel ha molto colpito Damiano Pizzol, portandolo a riflettere sul significato della cooperazione.
I cooperanti non sono eroi. Gli eroi sono quelli che incontrano una soluzione ed un lieto fine. I cooperanti molte volte si trovano di fronte ad una realtà senza via d’uscita e senza lieto fine, ma non per questo perde di significato la missione di chi si adopera in questi contesti. Anche laddove la scienza si ferma e la ricerca non da risposte, la presenza dell’humanitas, intesa come attenzione per l’altro – senza pregiudizi – rappresenta quel valore aggiunto che da sempre è a garanzia del rispetto dei diritti fondamentali di tutti.