A pochi giorni dalla ripresa del conflitto in Sud Sudan, il presidente Salva Kiir e il vice presidente Riek Machar hanno già chiesto il “cessate il fuoco”. Il nostro personale è ancora nel paese per garantire cure e assistenza alla popolazione.

La nuova fase di instabilità che sta attraversando il Paese, coinvolgendo soprattutto la capitale Juba, sta aggravando però la già fragile situazione economica e sociale e rischia di compromettere le poche sicurezze che gli accordi di pace avevano posto come garanzia per tutta la comunità internazionale, soprattutto i donatori.

Stiamo seguendo da vicino l’evoluzione dei fatti grazie al nostro personale, che si interfaccia con il network di tutte le ONG operanti in Sud Sudan.

Siamo in costante contatto con l’Unità di Crisi della Farnesina che sta monitorando la situazione e valutando opportunità di evacuzione nel caso la situazione degeneri e nel momento in cui verrà aperto l’aeroporto di Juba (al momento ancora chiuso, almeno per i voli internazionali).

Per coloro che sono impegnati sul campo – per esperienza e per la realtà del momento – riteniamo che le sedi progettuali e soprattutto l’ospedale rimangano le location più protette e rispettate, anche nel momento in cui la crisi si dovesse estendere all’interno del paese.

In ogni caso stiamo attivando un piano di evacuazione con il supporto operativo del MAF Uganda che dovrebbe garantire l’uscita dal Sud Sudan a tutto il personale che, come prevedono le nostre norme di sicurezza, non si sentisse più di continuare il proprio lavoro, chiedendo di essere dislocati in altra sede o di lasciare temporaneamente il proprio incarico.

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