Carissimi,
si succedono giorni di frenetica attività e di grande tensione, che ci sentiamo in dovere di raccontarvi con confidenza, passo passo, quasi ora per ora, in una vicinanza vera, non solo simbolica. Da venerdì 19 settembre alle 7 a lunedì 22 alle 7 si sono tenuti gli “stay at home days”. Non si è trattata di una vera e propria “quarantena”. La gente doveva stare chiusa in casa. Tutti gli operatori sanitari, compresi i nostri, si muovevano solo con permessi speciali. La misura è stata un atto forte deciso dal governo della Sierra Leone per impedire il diffondersi dei contagi e per consentire di identificare e isolare nuovi casi.
Oggi, a un primo consuntivo, le autorità hanno dichiarato che il coprifuoco di tre giorni è stato un successo. Le fonti ufficiali dicono che sono state controllate più di un milione di famiglie e scoperti 130 nuovi casi. La Sierra Leone è uno dei paesi più colpiti dall’epidemia, con quasi 600 delle 2.800 morti complessive registrate finora.
Il nostro team sta gestendo l’epidemia in coordinamento con le autorità locali nel sud del Paese, nell’ospedale e nel distretto di Pujehun, uno dei più isolati, popolosi e poveri della Sierra Leone. Oltre a Clara Frasson, assistente sanitaria capo progetto di Medici con l’Africa Cuamm in Sierra Leone, sono operativi un chirurgo, un’ostetrica e un logista che coordinano centinaia di operatori locali. Il prossimo fine settimana partirà un nuovo volontario, Matteo Bottecchia, per rafforzare il lavoro del team e a breve un altro ancora. Vogliamo continuare e rafforzare la nostra presenza a fianco della gente e dei colleghi locali, specie adesso.
Vi riporto alcuni stralci dai messaggi recenti di Clara:
La ricerca viene fatta casa per casa, capanna per capanna, si porta sapone, vengono date informazioni corrette sulla malattia, vengono controllati tutti gli abitanti di quel nucleo famigliare. I malati sospetti, quelli che presentano i sintomi della malattia (febbre alta, vomito, diarrea, sanguinamento, congiuntivite, rush cutanei) vengono trasportati con l’ambulanza negli holding centers (centri di isolamento). I malati diciamo così “ordinari”, broncopolmoniti, malaria, donne con gravidanze a rischio che si sono nascosti per la paura del contagio, vengono indirizzate verso le strutture di cura. Una nostra macchina è fuori da ieri e ha portato nelle zone rurali 12 supervisori che coordinano 250 contact tracers (addetti al tracciamento dei casi). Un’altra macchina sta caricando farmaci e sta andando a Zimmi, focolaio dell’epidemia in questo distretto.
Il Cuamm gestisce due centri di isolamento: uno nell’ospedale di Pujehun, l’altro a Zimmi, 150 miglia da Pujehun che a causa delle pessime condizioni delle strade si percorrono in 6 ore di fuoristrada. I centri di isolamento sono pronti ad accogliere i casi sospetti. Il team Cuamm si sta preparando per fronteggiare anche l’arrivo in ospedale di quelli ordinari:
È stato deciso che tutti i malati che si sono nascosti in questi tre mesi avranno cure gratuite. Abbiamo organizzato 2 stanze nel main hospital e 2 stanze in maternità per accogliere mamme e bambini. Gli infermieri ci sono tutti. Siamo tutti pronti. Ci aspettiamo che arrivi un grande afflusso di casi. Di che cosa c’è bisogno? – conclude Clara – Serve tanto lavoro. E ha iniziato a scarseggiare anche il cibo, oltre che i farmaci e i materiali di protezione che si consumano in quantità. (Clara, 19 settembre)
È il secondo giorno di “ose to ose Tok” (criolo) ossia “casa per casa informazione”. La situazione è abbastanza tranquilla. Stasera sono partiti per prendere un caso sospetto di Ebola a Pujehun, ma alla fine non era Ebola. Comunque è servito per rimettere a punto le procedure di accoglienza dei pazienti sospetti qui nell’holding center (centro di isolamento) di Pujehun. Direi che siamo migliorati molto. Domani prepareremo dei kit appositi per i casi sospetti. Invece a Zimmi hanno ricoverato 4 pazienti nel centro di isolamento. Uno è già morto e provengono sempre da Dumagbue dove 47 contatti erano stati isolati nella scuola». (Clara, 21 settembre, ore 0.44)
I pazienti che arrivano adesso sono trovati dai contact tracers con questo programma casa per casa. Sicuramente ci si aspetta che arrivino altri casi soprattutto a Zimmi. Al centro sanitario di Zimmi ho portato tutto quello che serviva per l’emergenza, devono usare (per il momento) la pompa manuale e portare su l’acqua per circa 180 metri. La vera urgenza sono le latrine esterne e successivamente acqua corrente. Qui a Pujehun ricoverati all’isolation unit abbiamo un uomo, 1 bambina di 4 anni (i genitori sono già morti), il corpo della nonna (della bimba). È l’1.30 e ancora non hanno deciso dove seppellirla nonostante vari incontri con il district council ecc. La bimba deve essere sorvegliata a vista e quindi una persona sta sempre all’interno del recinto indossando i PPI (tuta di protezione). Ad un certo punto, disperata e in lacrime, la bambina è scappata e, con fatica, sono riuscita (sempre munita di PPI) a farla ritornare a letto, dentro l’isolamento. È molto agitata, rifiuta cibo e alimentazione ed è quasi impossibile mantenere la via d’infusione. Il dr. Kabie, direttore dell’ospedale, sta seguendo da vicino la situazione e il team di Pujehun lavora bene. Il District Medical Officer Dr. Bum, ha chiamato i soldati per sorvegliare la tenda e spero arrivino a breve. Saluti, Clara. (Clara, 21 settembre, ore 15,32)
All’emergenza Ebola poi, si accompagnano a Pujehun, anche le storie normali, quelle delle malattie “ordinarie”, di successo e di sconfitta. Così ci scrive Paolo Setti Carraro, chirurgo, come un grido di angoscia:
Centododici passi. Ho voluto contarli questa mattina, andando in ospedale, con passo disteso, il sole già caldo sul viso, una pioggerella fresca che per contrasto mi spruzzava i capelli e gli occhiali. Centododici passi. Poco più di un minuto di strada. Lucia è arrivata da otto giorni, in coma, gonfia d’acqua, pallida come un cencio, una bambina scura di pelle, ma quasi candida di anemia. (20 settembre)
Leggi la sua testimonianza completa >
La situazione è veramente drammatica. I grandi donatori internazionali presenti nel Paese promettono aiuto ma per ora dobbiamo arrangiarci; e bisogna procedere subito. Abbiamo già fatto molto grazie all’aiuto di tanti di voi ma molto ancora c’è da fare. È urgente portare materiale di protezione, gasolio, cibo, acqua e costruire le latrine per i pazienti nel centro di isolamento di Zimmi. Ho sentito Clara e le ho detto di procedere all’acquisto dei quello che ritiene necessario e fondamentale comperare subito.
Dobbiamo continuare a motivare il personale locale. Dobbiamo continuare a sostenere questa gente nell’emergenza e nel quotidiano, nei nostri e loro limiti e negli slanci. Dobbiamo restare con loro. C’è molta paura, il personale è sottopagato e sotto stress. In quasi tutti i centri di salute lo staff è composto per la maggior parte da persone che non ricevono salario; sono o volontari (personale delle pulizie, portieri) o staff sanitario che attende di essere impiegato dal Ministero. Sostenere questi “lavoratori” è indispensabile. Noi siamo qui accanto a loro. Ce la possiamo fare solo insieme. (Clara, 21 settembre, ore 18)
Grazie del vostro sostegno e della vostra amicizia,
don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm
Cosa puoi fare tu
Con 10 euro assicuri materiale informativo e di sensibilizzazione alla popolazione locale
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Con 20 euro garantisci il trasferimento del paziente sospetto dalle unità periferiche all’ospedale
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Con 30 euro copri i costi di analisi e test di controllo
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Con 100 euro assicuri i kit completi di protezione individuale: guanti, occhiali, camice, maschera, copri scarpe o stivali, copricapo
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