È stata pubblicata sul Lancet pochi giorni fa una lettera firmata da Manuela Straneo e Piera Fogliati, di Medici con l’Africa Cuamm, insieme a Claudia Hanson – del Karolinska Institutet di Stoccolma – e Godfrey Mbaruku. dell’Ifakara Health Institute in Tanzania. Più che una lettera è un appello, una chiamata ai “grandi decisori” dalle pagine di una delle più affermate riviste scientifiche di medicina per puntare l’attenzione su un tema che non è nuovo e forse proprio per questo rischia di non destare più attenzione: la mortalità materna durante il parto o per complicanze derivate dal parto.

Quel che stupisce è che ad essere “denunciata” non è la mancanza di strutture sanitarie ma l’eccesso: siamo in Tanzania e la presenza di centri sanitari di primo livello è capillare nel territorio, rendendoli quindi accessibili anche a piedi alle donne che vivono in zone rurali. Il problema è proprio questo: troppi centri primari, in questo contesto, non consentono la qualità dei servizi offerti perché hanno un numero di parti annuale troppo basso e non permettono quindi alle poche risorse umane disponibili di maturare esperienza. Ne risulta che, in un paese in cui il 51,8% di parti assistiti avviene in centri di salute primaria, la probabilità di complicanze durante il parto e mortalità è estremamente alta.

Il parto sicuro viene meno in queste zone dell’Africa rurale, le più povere dell’intero paese. Eppure si potrebbe razionalizzare “dall’alto” l’organizzazione del sistema sanitario, riducendo i punti-nascita, pur mantenendo l’accessibilità anche per le mamme delle zone più remote. Di questo abbiamo parlato con Manuela Straneo, autrice della lettera, medico esperto in sanità pubblica, che sottolinea l’importanza di politiche sanitaria mirate, differenziate a seconda dei paesi e dei contesti, per rispondere a un’unica chiamata: quella al diritto alla salute per tutti.

 

Una lettera su Lancet per “denunciare” il diritto al parto sicuro e di qualità: ma a chi si rivolge questo appello?

Lancet ha pubblicato qualche mese fa una serie di articoli sulla salute materna. È stato sottolineato come l’assistenza al parto vada dall’estremo di “troppo cure, troppo presto” a “troppo poco, troppo tardi”. Non è difficile immaginare quali paesi si trovino ai due estremi.

Abbiamo voluto rivolgerci a chi è impegnato a ridurre le morti durante il parto nei paesi con risorse limitate, come quelli dell’Africa sub-Sahariana. Solo in Africa, ogni anno muoiono circa 200 mila donne, un milione di neonati e un altro milione di bambini prima di nascere.

Il nostro appello chiede maggior attenzione sull’assistenza al parto nel primo livello del sistema sanitario, nelle strutture di primary health care. Occorre definire degli standard perché il parto a questo livello sia sicuro. È essenziale per ridurre le morti, perché spesso oltre metà dei parti (in Tanzania il 51%) è assistito a questo livello. Ma soprattutto per una maggiore equità: sono le donne più povere che partoriscono in queste strutture, quindi sono loro ad essere colpite da una bassa qualità dell’assistenza.

 

Si legge nella lettera che nel caso della Tanzania i centri di salute dove le donne possono partorire ci sono, ma la qualità è bassa perché talmente sparpagliati nel territorio da avere pochi casi ciascuno: come entrano in relazione numero di parti per struttura e qualità? 

La Tanzania è paradigmatica, perché è stato uno dei primi paesi a mettere in atto la politica di primary health care nei decenni dopo l’indipendenza. Una rete capillare permette all’85% della popolazione di essere entro un’ora di cammino da una struttura. Grazie a questa rete, alcune regioni del paese hanno raggiunto una copertura quasi universale dei servizi per il parto. Analizzare quanto succede in Tanzania permette di trarre insegnamenti per altri contesti africani.

La diffusione della rete sanitaria è utile alla popolazione per molti aspetti: le vaccinazioni, le visite in gravidanze, e anche per offrire cure ai bambini sotto i 5 anni. Tuttavia, l’assistenza al parto è più complessa. I parti non sono programmabili, e richiedono un servizio attivo per tutte le 24 ore. Le complicanze del parto non sono frequenti; quando però si verificano, possono mettere a rischio vita della madre e del piccolo nel giro di poche ore. Come possono le ostetriche mantenere l’abilità di gestire la rianimazione di un bambino che non respira, o di un sanguinamento durante il parto se non fanno pratica? Il lavoro fatto con Medici con l’Africa Cuamm in Tanzania ha permesso di evidenziare che nelle zone rurali i parti sono dispersi. Moltissime strutture, talvolta con pochi parti all’anno. Aumenta la copertura, ma la frammentazione comporta un calo di qualità dell’assistenza.

Quanti parti all’anno devono essere assistiti per garantire una buona qualità? Non ci sono dati certi, e abbiamo voluto sottolinearlo tramite una lettera a una rivista scientifica molto diffusa e di alto livello. Vuole servire ad attirare l’attenzione su un aspetto che può migliorare i servizi per le donne più vulnerabili, tra cui la mortalità è più alta.

 

Parlare di “soluzioni” non è di certo corretto in un contesto come questo, ma quali sono allora le indicazioni che voi dareste per un effettivo miglioramento?

Nei paesi con maggiori risorse come l’Italia, da alcuni anni i punti-nascita sono stati concentrati per garantire maggiore qualità di assistenza a mamma e bambino.

Ma qual è la soluzione giusta per i paesi a risorse limitate? Occorre senza dubbio una soluzione condivisa con autorità sanitarie e le donne che utilizzano il servizio. Compito di chi è impegnato a salvare la vita di donne e bambini come Medici con l’Africa Cuamm e presente sul campo da molti decenni è offrire indicazioni che possano essere utili a migliorare un servizio complesso.

Analisi fatte nelle Regioni di Iringa e Njombe in Tanzania, in collaborazione con l’Università di Siena, hanno mostrato che è possibile ridurre i punti nascita senza compromettere in modo significativo la distanza che le donne devono percorre per arrivare a partorire. Occorrono però altri dati, come appunto il volume ottimale di parti, per arrivare a una migliore organizzazione dell’assistenza.


Referenze bibliografiche

  • http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(17)30342-2/fulltext
  • Straneo M., Fogliati P., Azzimonti G., Mangi S., Kisika F., Where do the rural poor deliver when high coverage of health facility delivery is achieved? Findings from a community and hospital survey in Tanzania, in PLoS One, 2014; 9
  • Fogliati P., Straneo M., Brogi C. et al., How can childbirth care for the rural poor be improved? A contribution from spatial modelling in rural Tanzania, in PLoS One, 2015; 10

 

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