Dalle contee di Leer e Mayandit, terreno di scontro tra le truppe governative e i soldati Nuer, le famiglie scappano appena possono verso Nyal, nella contea di Panyijiar, vera roccaforte dei “ribelli”.
Per arrivare qui devono navigare nei labirinti di canali di queste sterminate paludi a bordo di rudimentali canoe, che al massimo possono trasportare quattro persone. In alcuni casi ci vogliono due giorni di navigazione. Le canoe a disposizione non sono tante e bisogna aspettare dei giorni, anche settimane, prima di trovarne una disponibile. Su questi bassi fondali la canoa si conduce con un lungo palo che con ritmo costante spinge la prua della canoa lungo rotte che solo la gente del posto conosce, tra una vegetazione rigogliosa che impedisce di vedere lontano.
Il costo del viaggio varia: un uomo adulto paga 600 pound sud sudanesi (3,5 dollari), una donna 800 pound (5,7 dollari), un bambino 250 (1,5 dollari). I disagi da sopportare in questo viaggio sono tanti, prima di tutto la fame, ma molto meglio che continuare a vivere lì dove ormai non si può più coltivare e dove c’è solo guerra.
Adesso che è il periodo delle piogge, e che l’acqua copre gran parte del territorio, qui a Nyal la gente si sente al sicuro. Il Nilo a est ha straripato e le paludi ora si estendono in larga parte anche ad ovest, lì dov’è il confine con Lake State e dove staziona l’artiglieria del governo. Ma adesso di certo nessun mezzo militare si avventura in queste paludi. La gente qui si può sentire al sicuro.
Con le piogge però, a Nyal, anche la pista di atterraggio per gli aerei e gli elicotteri è tutta un pantano e si usa allora la strada del villaggio, che mantiene una certa consistenza. Quando si sente il rumore di un elicottero o di un cargo aereo, la gente si affretta a sgombrare la strada. I ragazzi che giocano a calcio si mettono da parte e le madri tengono ben stretti i loro bambini. Quando è il momento una nuvola di polvere avvolge tutto quello che c’è intorno. Tutto sbatte e vola: le imposte della scuola, i tendoni dei negozi; la paglia del tetto delle capanne sembra dover andar via da un momento all’altro come in un tifone.
Ma da lì a poco si spengono i motori e dalle pance di questi aerei escono fuori i beni essenziali delle varie agenzie umanitarie: cibo liofilizzato per i malnutriti, farmaci, materiali di costruzione, tende da dare alle centinaia di nuove famiglie che arrivano da nord, sementi e attrezzi per l’agricoltura, e raramente automezzi.
Neanche noi di Medici con l’Africa di certo non stiamo a guardare. I materiali di costruzione per la sala operatoria e le quattro unità sanitarie stanno finalmente arrivando. A breve arriverà anche il John Deer, il mezzo 4×4 indispensabile per muoversi in questo ambiente e raggiungere i beneficiari del progetto, che già si sono attivati per preparare i pali con cui realizzare la loro unità sanitaria. Quando siamo andati a dirglielo, che da lì a breve avrebbero avuto un loro posto di salute, la gente ci ha abbracciato e sono iniziati canti e danze di gioia che sono proseguiti anche dopo la nostra partenza. Poter contare su un operatore sanitario vicino a casa, pronto a dare farmaci, specie per la malaria, vuol dire non avere più il terrore di vedere il proprio bambino ammalato e di non riuscire a portarlo in tempo al centro di Nyal prima che sia troppo tardi.
Le procedure di autorizzazione per il trasporto dei beni in quest’area sono complesse e ci vuole tanto tempo a sbrigare tutte le pratiche. È un esercizio di pazienza molto faticoso proprio quando si ha consapevolezza che ogni ritardo alla fine si conta in numero di vite umane salvate o meno.
Noi ce la stiamo mettendo tutta, con determinazione, con l’ostinazione di voler raggiungere gli obiettivi ad ogni costo. La gente ci ha aperto le braccia, adesso spetta a noi compiere la nostra parte presto e bene.
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