Freetown/Padova, 30 gennaio 2015 – Con i suoi 10.510 casi di Ebola (3.199 morti), la Sierra Leone si conferma il paese più colpito dal virus. Tuttavia l’incidenza, cioè il numero dei nuovi casi per settimana, continua fortunatamente a diminuire: nella settimana del 25 gennaio sono 65 i nuovi casi registrati, contro i 117 della settimana precedente e i 184 di quella prima.
Ma accanto alle perdite dirette di ebola ci sono gli effetti indiretti, i danni collaterali dell’epidemia, che in questa fase del “post ebola” emergono con drammatica forza e richiedono urgenti risposte. La vittima principale è indubbiamente il sistema sanitario sierraleonese, con gli ospedali e i centri di salute che in questi mesi hanno chiuso per le pesanti perdite di personale sanitario e per la paura, lasciando intere popolazioni prive della possibilità di accesso ai servizi sanitari di base.
Tra questi l’ospedale di Lunsar, nel distretto occidentale di Port Loko. Gestito dall’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, la struttura che conta 151 posti letti serve abitualmente una popolazione di 500.992. Nel corso degli anni, per la qualità dei servizi forniti, è diventata un riferimento non solo per la Sierra Leone, con un importante flusso di pazienti dalla vicina Freetown, ma anche per i paesi limitrofi, come Guinea e Liberia. Nel 2013 l’ospedale ha realizzato 32.445 visite ambulatoriali e 2.114 interventi chirurgici. Da agosto 2014 è stato chiuso due volte, la prima su indicazione del Ministro della salute della Sierra Leone, la seconda, il 22 settembre a seguito dal contagio di Brother Manuel Garcia Viejo, il medico missionario spagnolo rimpatriato e poi deceduto. Ora la volontà dell’ospedale è quella di ripartire, i servizi ambulatoriali di base sono stati riaperti il 6 gennaio, ma la gente ha paura e mancano i medici. Da qui il coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, che nel distretto di Pujehun è riuscito a mantenere sempre aperto l’ospedale e a contenere le perdite.
«Ci sentiamo interpellati a fornire tutta la nostra esperienza e a collaborare con la Direzione ospedaliera e i diversi partner coinvolti, tra cui l’Istituto Spallanzani, e le Ong Engim e Rainbow for Africa per la riapertura dell’Ospedale di Lunsar – dichiara don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, in questi giorni nel paese per mettere a punto gli ultimi aspetti dell’intervento. L’ospedale è vuoto, la volontà di ripartire è fortissima. La congregazione ha subito pesanti perdite, 7 unità dello staff, ma “ se ci siete voi”, ci hanno detto, il coraggio di rimetterci in piedi insieme lo troviamo».
Medici con l’Africa Cuamm invierà le risorse umane.
«L’obiettivo del nostro intervento è aiutare l‘ospedale a ripristinare i servizi sanitari forniti per quanto riguarda l’attività chirurgica e di ricovero – continua don Carraro. Lunedì partirà il chirurgo, a seguire, tra 10 giorni, invieremo un altro medico internista. A supporto di tutta l’attività nel paese, partiranno, sempre lunedì, un logista e un geometra per l’appoggio al trasferimento dei materiali sanitari e supervisione alle strutture. Ci troviamo a gestire una seconda emergenza – conclude – quella di riprendere in mano e sostenere un sistema sanitario che già prima dell’epidemia era fragilissimo. Siamo, come talvolta ci dicono, ‘bush-doctors’, medici da campo. Aiutare un ospedale rurale a riprendere con coraggio la vita quotidiana, assistere mamme e bambini a fianco dei colleghi locali, anche e soprattutto quando il rischio è maggiore, questo lo sappiamo e dobbiamo fare. È la nostra vita e il nostro lavoro».
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