Oggi Medici con l’Africa Cuamm è a Trieste, all’11° conferenza internazionale sulla Kangaroo Mother Care. Esperti di tutto il mondo si ritrovano, come ogni anno, per discutere l’applicazione di una delle terapie più accessibili nel caso di nati prematuri, che noi conosciamo come metodo mamme-canguro. Nato in Colombia a metà degli anni ’70 per sopperire all’insufficienza di incubatrici, il metodo mamme-canguro si è però subito rivelato meglio di un’incubatrice perché, oltre a mantenere la temperatura del neonato, offre uno stretto contatto pelle a pelle con la madre che favorisce la stabilità cardiorespiratoria, l’allattamento, lo stimolo neuromotorio e il vincolo affettivo, oltre a proteggere contro le infezioni più gravi. Si tratta anche di uno dei pochi casi di innovazione sviluppata nei paesi poveri e trasferita a quelli ricchi; di solito succede il contrario.

Non è un’applicazione nuova per il Cuamm, che da anni ne conosce i benefici e applica la terapia nel caso di neonati pre-termine. È nuova però la ricerca che presentiamo oggi a Trieste: si tratta del primo studio randomizzato (Randomized Controlled Trial – RCT) nella storia del Cuamm, eseguito in collaborazione con il Dipartimento di Pediatria dell’Università di Padova, e misura l’efficacia nella gestione dei bambini prematuri attraverso la terapia mamma-canguro associata all’utilizzo di berrettini e calzini di lana.

Nei bambini nati prematuri, l’ipotermia è un rischio concreto ed è causa spesso di complicazioni neonatali o addirittura morte. I risultati della ricerca presentata oggi potrebbero fornire evidenze concrete per un trattamento “a basse risorse” del problema. Lo studio Cuamm ha già arruolato 100 piccoli pazienti in 3 paesi (Mozambico, Etiopia e Uganda) e oggi a Trieste presenta l’architettura della ricerca. I dati sono in corso di analisi e ancora non ci si può sbilanciare. Per noi di Cuamm è sicuramente un passo importante nella ricerca sul campo: il rigore metodologico necessario per lo sviluppo e l’esecuzione di questa tipologia di studi fa sì che siano considerati il gold standard per la sperimentazione clinica e i risultati generati potrebbero costituire una base solida per influenzare o modificare politica e pratica sanitaria.

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