E così mentre 1 milione e 300 mila persone hanno già lasciato il paese, 2 milioni di persone, senza superare i confini, continuano a muoversi senza sosta da un posto all’altro, in cerca di pace.
Chi lascia il paese si dirige verso i paesi vicini: Uganda ed Etiopia sono le prime scelte, dove la situazione è abbastanza pacifica e i governi hanno messo in moto le procedure per accogliere i rifugiati, supportati dalle organizzazioni internazionali.

Questa crisi umanitaria senza precedenti chiama in causa anche Medici con l’Africa Cuamm direttamente in Sud Sudan dove è impegnato in prima linea a supportare le comunità che soffrono la penosa mancanza di sicurezza, protezione, disponibilità alimentare e di servizi sanitari.
Ma anche nei paesi vicini, dove stiamo mettendo a punto interventi specifici.

In Etiopia, a Gambella, regione al confine con il Sud Sudan, abbiamo appena iniziato un progetto che intende «supportare il sistema sanitario regionale, concentrandosi in particolare sui distretti di Gambella Zuria e Abobo, oltre che Gambella città. L’obiettivo è quello di rafforzare la capacità gestionale dell’ospedale regionale di Gambella e dei centri di salute collegati, in modo che possano fornire alla popolazione locale migliori servizi sanitari e che siano meglio in comunicazione tra loro nei casi di emergenza» spiega Matteo Bottecchia responsabile dei progetti Cuamm in Etiopia. L’ospedale regionale di Gambella è l’unico funzionante per una popolazione di 420.000 persone, a cui si aggiungono i rifugiati del Sud Sudan, arrivati in questi giorni a oltre 350.000 persone.

Nguenyyiel, è il più recente campo profughi della regione di Gambella. Aperto a novembre 2016, conta già 52.000 persone ospitate, con un limite fissato a 60.000. Considerato che Gambella, capoluogo delle regione, conta 60.000 persone, il campo ha le dimensioni di una vera e propria nuova città nata in pochi mesi.

Tutte queste persone vengono dal Sud Sudan, in fuga dalla carestia e dagli scontri. Arrivano ai campi dopo essere passati per dei centri temporanei che si trovano lungo il confine, dove vengono identificati e indirizzati verso le loro destinazioni. Ad oggi lungo il confine ci sono ancora 4.000 persone nel centro temporaneo di Pagac: quando anche Nguenyyiel arriverà a saturazione, i profughi saranno destinati ad altri centri etiopi, ancora più distanti dal confine con il Sud Sudan, fuori dalla regione di Gambella.

«I flussi di persone non sono del tutto prevedibili – spiega sempre Matteo Bottecchia – ma è certo che sul confine si vede l’effetto di quello che succede all’interno del Sud Sudan: negli ultimi mesi, tra marzo e aprile, c’è stato un nuovo incremento degli arrivi, dopo alcuni mesi di relativa calma. Si prevede che nei prossimi mesi il flusso di migranti rimarrà alto. Gambella è una regione che sta arrivando a saturazione. I Sud Sudanesi preferirebbero restare quanto più possibile vicini al confine, ma, vista la situazione da cui scappano, non programmano di rientrare molto presto nel loro paese».

Anche in Uganda stiamo mettendo a punto le modalità per un intervento sanitario, a supporto dei campi profughi esistenti. Martedì scorso Peter Lochoro, nostro rappresentante paese in Uganda, è stato in visita al campo profughi di Bidi Bidi, nel distretto di Yumbe in West Nile, insieme ad altri partner con cui stiamo lavorando al progetto di intervento.

«Molti potrebbero non aver mai sentito parlare di Bidi Bidi – racconta Peter Lochoro – perché pochi mesi fa non esisteva nemmeno. Il campo è stato aperto il 4 agosto 2016 da David Apollo Kazungu il Commissario per i rifugiati del primo ministro ugandese, per ospitare i rifugiati provenienti dal centro di transito di Adjumani, pericolosamente sovraffollato. Costruito dal niente, il centro di Bidi Bidi ha immediatamente accolto 20.000 persone, con una capacità massima di accoglienza di 100.000 rifugiati. La scorsa estate Bidi Bidi era un enorme pezzo di terra arida vicino alla piccola città di confine di Yumbe. Oggi ormai fa da casa a 270.000 rifugiati, la maggior parte dei quali fuggiti dalla violenza e dagli scontri del Sud Sudan».

La città di Yumbe non è nuova per il Cuamm: l’ufficio sanitario distrettuale è stato costruito proprio dal Cuamm nel 2002 ed è stato trovato da Peter Lochoro ancora attivo e funzionante: un segno di qualcosa che resta.

Il nostro essere a servizio dei più dimenticati, ci chiede di andare sempre oltre, nell’ultimo avamposto dell’ultimo miglio, perché si accenda una luce di dignità e di speranza, anche dentro un campo profughi.

Questo il nostro impegno e il nostro augurio.
Buona Pasqua!

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