Il 24 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata per la Lotta alla Tubercolosi, un’occasione per ribadire con forza l’impegno contro una delle principali cause di decessi al mondo per malattie infettive (circa 4.000 persone ogni giorno, 9 milioni nel 2013, fonte WHO). Nonostante i progressi per invertire la diffusione della tubercolosi entro il 2015, secondo quanto previsto dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, raggiunti solo parzialmente, l’Africa resta a tutt’oggi il continente più colpito, con i tassi procapite più elevati, sia di incidenza che di mortalità (nel 2013 erano 280 casi per ogni 100.000 persone, fonte WHO).
In Africa, sul campo nei 7 paesi in cui opera a sud del sahara, Medici con l’Africa Cuamm sostiene e implementa attività di prevenzione e di cura della tubercolosi nell’ottica di rinforzare i programmi nazionali, con un’attenzione speciale alla ricerca sul campo.
Lo screening per la tubercolosi, effettuato di routine in tutti gli ospedali in cui il Cuamm è presente, va di pari passo con l’impiego di un’avanzata tecologia diagnostica presso gli ospedali di Wolisso (Etiopia) e di Matany (Uganda): nelle due strutture, il Cuamm ha reso disponibile un apparecchio GeneXpert installato per riconoscere i casi più difficili, resistenti ai farmaci.
In Angola, inoltre, a partire dall’agosto 2014, all’interno dei quattro principali centri di trattamento DOT (directly observed treatment) di Luanda, il Cuamm ha iniziato un innovativo progetto che integra la cura per la Tubercolosi con la terapia per il diabete. Il progetto è realizzato con il sostegno di World Diabets Foundation ed è condotto in collaborazione con PNTCT (Programma nazionale angolano di contrasto alla TB) e con l’associazione nazionale angolana dei malati di diabete (ASDA).
Lo sforzo tecnico-scientico da solo non basta però per capire, conoscere e comunicare il problema: il Cuamm continua a stare vicino alle mamme e ai bambini, i gruppi più vulnerabili della società, là dove il bisogno è più acuto e i sistemi sanitari sono fragilissimi.
«Nella sezione Tubercolosi – ricorda Arianna Bortolani, medico Cuamm, quand’era in servizio presso l’ospedale di Wolisso, Etiopia – tutti, infermieri, studenti, parenti, stavano attorno alla giovane mamma che avevamo trasferito il giorno prima dal reparto maternità. Era venuta in ospedale per il parto; una bella bambina, sana, ma le infermiere si sono accorte subito che lei, la mamma, aveva una brutta tosse, le gambe erano gonfie e sembrava le mancasse il fiato per movimenti minimi. Sono bastati la visita e pochi esami per confermare la diagnosi: tubercolosi miliare. Subito iniziammo il trattamento per lei e la profilassi per la bimba. All’improvviso la donna diventò debolissima e, nonostante i liquidi e i farmaci d’emergenza somministrati, la situazione non sembrava migliorare. Tutti i nostri tentativi furono inutili. Ironia della sorte, quello stesso pomeriggio dovevo tenere una lezione alle aspiranti ostetriche della scuola a proposito della tubercolosi in gravidanza; in quell’occasione parlammo apertamente dell’episodio. A volte, credo, c’è bisogno di condividere non solo le nozioni scientifiche ma anche le emozioni: a quelle ragazze è affidato un ruolo e una responsabilità grande, poter diffondere la conoscenza e fare in modo che drammi come questo non si ripetano».