«L’eccesso di informazione di cui disponiamo genera gradualmente – scusate il neologismo – la “naturalizzazione” della miseria. Vale a dire, a poco a poco, diventiamo immuni alle tragedie degli altri e le consideriamo come qualcosa di “naturale”. Sono così tante le immagini che ci raggiungono che noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono».
In questa 25a Giornata mondiale del bambino africano, le parole che Papa Francesco ha pronunciato al Programma Alimentare Mondiale (Pam), lo scorso 13 giugno, suonano come un monito per tutti noi. Questo 16 giugno 2016 è dedicato a “Conflict and Crisis in Africa: Protecting all Children’s Rights”.
Medici con l’Africa Cuamm non vuole rimanere indifferente di fronte al dolore e alla sofferenza di tanti bambini. Piccole vittime di conflitti e di violenze, innocenti colpiti dalle atrocità e dall’egoismo degli adulti, costretti a condizioni di vita misere e non degne di un essere umano. Dalle parole alle azioni concrete: ogni giorno infatti, in ciascun paese dell’Africa sub-Sahariana in cui opera, Medici con l’Africa Cuamm cerca di prendersi cura dei bambini, di portare loro cure e assistenza. Li aiutiamo a nascere, li seguiamo nei primi mesi di vita, li accompagniamo nelle visite post-natali, quando serve li sosteniamo nella lotta alla malnutrizione o a malattie come l’Aids, la Tubercolosi, la Malaria, li curiamo quando sono vittime di violenza o di ingiustizie.
«Sono infiniti gli sguardi dei bambini che ho curato e che porto dentro – racconta Giorgio Pellis, chirurgo impegnato a Matany, in Uganda -.Da quelli che spaziano tra il terrore di essere di fronte ad un uomo di un colore diverso, con tanto di baffi e occhiali, come in una maschera, a quelli dei maschietti già più grandicelli, consci del loro ruolo incipiente di piccoli guerrieri, quasi sfrontati, che si sforzano di essere reattivi mentre sopportano il dolore fisico, a quello delle ragazzine che ammiccano con una femminilità che non è ancora condizionata dalla durezza dei costumi locali».
Nel dossier pubblicato per questa occasione si fa chiaramente riferimento anche al Sud Sudan, dove il Cuamm opera dal 2006 e ha dovuto affrontare situazioni difficili e complesse come gli scontri degli ultimi anni.
«Gunshot è il termine inglese che significa “colpo d’arma da fuoco”. Ricordo quel giorno in cui nel reparto adulti erano ricoverati, tra gli altri, ben quattro giovani e una giovanissima (di appena 16 anni!). Tutti per ferite di kalashnikov. E come se non bastasse, in Pediatria, è stata ricoverata per alcune settimane una bimba di appena sei anni, anche lei vittima di una sparatoria nella quale ha perso il pollice della mano destra e, a causa della perforazione dell’addome da parte dello stesso proiettile, anche un bel tratto di intestino. Non avevo mai visto tante persone ricoverate in un piccolo ospedale, tutte per ferite riportate a seguito di sparatorie, avvenute oltretutto in episodi differenti gli uni dagli altri. Questo dà la dimensione della violenza che si vive quotidianamente in questa piccola regione del mondo, a Cueibet, in Sud Sudan».
Il racconto di Vito Sgro, medico Cuamm da poco rientrato dal Sud Sudan, presente proprio durante gli scontri dei mesi passati, ci fanno riflettere e ci chiedono di non rimanere indifferenti, ancora una volta.
Sono trascorsi 25 anni da quando l’Unione Africana ha istituito la prima Giornata mondiale del bambino africano, ma molta è la strada ancora da percorrere, perché ciascun bimbo in Africa e non solo possa semplicemente sorridere, ma vivere in modo dignitoso.
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