Padova, 18 giugno 2000 – Abbiamo cominciato la S.Messa con un atto di adorazione e di supplica alla Trinità. Dobbiamo ora ringraziare. Diciamo grazie al Signore per tutti gli aiuti e i benefici che ci ha concessi. Grazie anche per questo straordinario incontro di famiglie, per questa festa di famiglia. Il piccolo gregge degli inizi (pusillus grex) oggi è diventato quasi un esercito.
Tra le varie iniziative programmate per ricordare i 50 anni di vita del CUAMM, questo è certamente il momento più commovente e suggestivo, è il giorno più bello. Ringraziamo chi ha avuto l’idea di questa splendida giornata e le tante persone che si sono prestate per organizzarla. Dovrei fare molti nomi. Cito solo le persone del comitato promotore che hanno faticato di più: oltre a Don Dante come regista, Annamaria e Antonio Loro, Elisabetta e Oscar Banzato, Claudia Belleffi, Federica e Manuel Zorzi, Laura e Alessandro Mecenero, le famiglie Bosisio, Ometto, Putoto, Stefano Bassanese e Stefano De Gregori, Roberta Gambalonga, Martina e Giulia Angi, Paolo Gallinaro e Chiara Menegazzo che ha fatto un po’ da coordinatrice e punto di riferimento generale, anche nella gestione degli inviti e nella logistica. Diciamo un grazie vivissimo anche al Gruppo dei cantori, agli elettricisti, agli Amici dei Popoli, agli Scouts, al prof. Angelo Turco e al nostro volontario in Angola Andrea Atzori, che ci parleranno dopo la Messa.
Un grazie particolare va anche al Rettore e al personale del Seminario che ci ospita per la cordiale accoglienza che ci viene offerta.
Nell’invito per questo incontro si è voluto accennare pure al 50° del mio sacerdozio. Sono stato ordinato prete il 9 luglio del 1950. È una ricorrenza che non c’entra direttamente con la festa dei 50 anni del CUAMM, che oggi siamo riuniti qui a celebrare. Sono comunque grato di questo ricordo. È per me come una specie di campanello d’allarme, il richiamo agli anni che passano per tutti.
È mio dovere ringraziare il Signore per il dono che mi ha fatto del sacerdozio. Lo ringrazio ogni giorno, come ogni giorno chiedo scusa per non aver saputo corrispondere in modo degno alla grazia ricevuta. Sono cosciente che dovevo essere più fedele, più generoso, meno distratto, più conforme al modello che ero chiamato a rappresentare. Riconosco i miei limiti e difetti, la mia fragile umanità (“Chi dice di essere senza peccato è un bugiardo”, scrive S. Giovanni nella sua 1^ lettera, 1,8); sento quanto sono lontano dall’ideale che mi ero prefisso e domando perdono. Non dimentico mai il gesto di mia madre che, nella ricorrenza del 25° di ordinazione sacerdotale, mentre si era seduti a tavola con i familiari e alcuni parenti e lei mi stava accanto, ad un certo momento si alzò e lesse un foglietto scritto su carta di un vecchio quaderno a righe. Lei aveva ormai 81 anni. Accennò alle tante sofferenze e ai dispiaceri avuti nei suoi anni, agli anni miseri passati con i suoi figli piccoli priva di tante cose necessarie (eravamo in 8 più un fratellino morto ad un anno e mezzo e che lei assistette per molti mesi giorno e notte) e ringraziava il Signore di poter festeggiare i miei 25 anni di Sacerdozio “al servizio di Dio e della Chiesa”. “Io ringrazio infinitamente Dio di essere stata degna di avere un figlio sacerdote”. Abituata com’era a conservare per sé, quasi con pudore, i propri sentimenti più profondi ed educati anche noi figli a tale riservatezza, quelle semplici e inattese espressioni commossero tutti e mi parvero come una illuminazione del grande privilegio che il Signore mi aveva fatto chiamandomi al Sacerdozio, “al servizio di Dio e della Chiesa”.
È noto a tutti che a me è stato chiesto di svolgere questo servizio al CUAMM da quando il Vescovo Bortignon, al quale avevo promesso nel giorno della consacrazione sacerdotale filiale rispetto ed obbedienza (reverentiam et obodentiam), decise di mandarmi, alla fine di agosto del 1955, a dirigere il Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari di via G.Galilei, a cui sinceramente non avevo mai pensato (Ero molto piccolo allora). Si trattava di una quindicina di studenti italiani e di uno studente indiano arrivato l’anno prima, Antonio Koteswara Rao.
Fin da quel primo momento ho sempre considerato questo servizio al CUAMM come un ministero di carità, uno speciale servizio di amore. La prima preghiera che faccio ancora oggi tutte le mattine è questa: “Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato in questa notte, chiamato al sacerdozio, incaricato di questo ministero di carità”.
Fin dall’inizio ho sempre ritenuto il CUAMM un’opera di Dio e il medico missionario una vera vocazione, un dono speciale dello Spirito Santo fatto ai laici, perché a loro specificamente destinato, come loro chiamata alla missione: “Andate e curate gli infermi” (Mt. 10,6-8). È stata l’idea del Prof. Canova, promotore del CUAMM, che fin dalle origini ha parlato di vocazione “rara e generosa” fatta scendere dal Signore nel cuore di quei giovani studenti di medicina che hanno deciso di mettere la loro professione di medici a servizio delle missioni, pur non essendo legati da alcun voto e rimanendo semplicemente dei professionisti cattolici” (opuscolo CUAMM – 1952-53).
Come opera di Dio definì il CUAMM anche il Vescovo di Padova, Mons. Bortignon, che assieme al prof. Canova è stato il fondatore del CUAMM. Lo disse alla posa della prima pietra della nuova sede del Collegio in via Galilei il 2 dicembre 1958:
“Quest’opera porta evidenti i segni della Provvidenza divina nella sua pur breve storia e afferma magnificamente quella solidarietà cristiana che è un segno dei tempi”. Lo ripeté all’inaugurazione della sede il 10 gennaio 1960: “Come di tutte le cose buone, la paternità di questo cresimando (il CUAMM entrava allora nel decimo anno di vita) si deve attribuire a Dio”.
Al di là delle parole, egli dimostrò concretamente questa sua convinzione venendo almeno 20 volte in Collegio durante il suo episcopato per incontrare gli studenti, celebrare la S. Messa, consegnare il crocifisso ai medici partenti, accompagnare visite di personalità illustri del mondo ecclesiastico, e ce ne sono state molte.
Il CUAMM godette di una straordinaria attenzione da parte delle gerarchie della Chiesa. È stato citato al Concilio Vaticano II. Abbiamo avuto due Udienze speciali del Papa, di Paolo VI il 14 novembre 1965, poco prima della chiusura del Concilio e di Giovanni Paolo II il 26 settembre 1983. Abbiamo ricevuto, specialmente nei primi 20 anni, notevoli aiuti da Propaganda Fide, borse di studio per gli studenti esteri dalla Congregazione Orientale, un’offerta personale del Papa Giovanni XXIII e, più recentemente, parecchi e sostanziosi contributi dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Credo che nessuna istituzione religiosa abbia ottenuto, almeno in un periodo così breve di anni, tanti segni di fiducia e di riconoscimento.
Spesso le opere di Dio si riconoscono anche dalle difficoltà che incontrano. Mons. Moletta, che è qui presente e che ringraziamo di cuore (ha più di 91 anni ed è sempre pieno di buon umore e di entusiasmo), può testimoniare, da direttore dell’Ufficio Missionario della Diocesi e per parecchi anni economo del Collegio, quante angustie e sofferenze ci furono, soprattutto agli inizi della vita del CUAMM. Posso dire anch’io che tante volte ho chiesto nel Padre Nostro per il CUAMM il “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. L’ho fatto in molti momenti e continuo a farlo ogni giorno.
Trovo sempre conforto in una frase, che mi accompagna spesso, della signora Bruna Dal Lago, la moglie del prof. A. Dal Lago, che scriveva dal Kenya nell’aprile del 1966 (15.04.66) alla fidanzata di un medico del CUAMM che doveva sposarsi e poi partire per l’Africa e le manifestava le sue ansie, i suoi problemi, ponendole molte domande e chiedendole qualche consiglio.
“Leggendo la sua lettera, sono ritornata indietro di dodici anni ed ho rivissuto con lei quei momenti ansiosi e felici della mia attesa, della vigilia dei due avvenimenti che insieme hanno così cambiato la mia vita in modo tanto straordinario: matrimonio e immediata partenza per le missioni. Anch’io, ricordo, avevo la testa piena di problemi piccoli e grossi, tante domande a cui non riuscivo a dare risposta, forse anche un po’ di paura, ma anche tanta gioia e tanta speranza. Adesso, dopo tanti anni, se ci ripenso per darle dei consigli come lei mi chiede, ecco, signorina, non ho dubbi nel dirle subito che benedico e ringrazio Dio per quei momenti decisivi che hanno cambiato la mia vita e le hanno dato un significato così profondo e diverso. Vedo che lei è anche bene preparata ed ha pensato molto ai sacrifici, alle difficoltà che in missione si incontrano; certamente gli uni e le altre ci sono e talvolta non sono indifferenti, ma nella mia esperienza la Provvidenza è sempre stata più grande di loro”.
Le difficoltà e i sacrifici ci sono e, se ti toccano realmente nel vivo, ti aiutano a capire molto meglio che cosa vuol dire di fatto essere dalla parte dei poveri, condividere i problemi e le tribolazioni dei poveri, impegnarsi ad amare e a servire i poveri.
La storia del CUAMM è intessuta di difficoltà e di sacrifici, talvolta o spesso non indifferenti, ma “la Provvidenza è sempre stata più grande di loro”. Ci sono stati degli anni, dall’85 al 90, in cui, dal punto di vista finanziario, i fondi pubblici della cooperazione erano abbondanti ed erano più facili i contributi alle Organizzazioni non governative di volontariato. Anche il CUAMM ha potuto formulare programmi e beneficiare di queste disponibilità. E siamo riusciti a realizzare alcuni progetti, anche edilizi, di notevoli dimensioni, sia in Tanzania che in Uganda, a favore degli ospedali governativi e degli ospedali missionari. Abbiamo comunque continuato, nello stile di sempre, ad essere rigorosi nella gestione e non siamo mai scesi a compromessi o peggio a traffici di sorta, come non abbiamo mai accettato richieste di interventi e impegni di programmi, anche se sollecitati da più parti, della cui “bontà” non fossimo convinti o che ritenessimo non conformi ai nostri criteri e alle nostre scelte.
La grave crisi della cooperazione seguita dagli anni 90 in poi ha messo in serie difficoltà tutti gli organismi e ci ha fatto angustiare e soffrire non poco. Ma è stata anche una lezione, forse salutare. Abbiamo imparato che, senza trascurare gli uomini, è meglio fidarsi di Dio che degli uomini. Ciò non ci esime dal continuare a difendere i diritti ed esigere il rispetto delle leggi e degli impegni assunti, come anche dal sostenere con forza il dovere morale del nostro paese, dei suoi governanti e dei responsabili delle pubbliche amministrazioni, di non venir meno agli obblighi che hanno, e che derivano loro dai cittadini contribuenti, della solidarietà internazionale.
Noi dobbiamo continuare a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità, cercando di coltivare e moltiplicare ancora di più i nostri rapporti con la nostra Diocesi (Centro Missionario, Caritas, Parrocchie), con le Diocesi e gli Uffici Missionari del Triveneto e anche oltre, con i gruppi di appoggio, gli amici, le persone sensibili e ben disposte e fare opera di informazione e di sensibilizzazione attraverso tutti i canali più opportuni. Il settore della comunicazione, che abbiamo avviato, è importante e diventa vitale.
A dimostrare che il CUAMM è un’opera di Dio ci sono i fatti, gli avvenimenti, le persone. Nel rievocare la storia dei primi 25 anni del CUAMM nel 1975 il prof. Canova, dopo aver ricordato i faticosi inizi, i problemi della sede, le prime partenze dei medici, fa un lungo elenco di chi ha scritto la storia, la vera storia del CUAMM. A quella storia oggi, a 50 anni dalla nascita del CUAMM, dovremmo aggiungere molti altri fatti e avvenimenti e moltissimi altri nomi: di studenti, italiani ed esteri (200 studenti esteri laureati), di Suore (62), di medici ed altri volontari partiti (siamo arrivati ora a 1206), di collaboratori ed amici che ci hanno sostenuti, di tutte le persone attualmente impiegate nei vari uffici e servizi a Padova, nelle sedi dei coordinamenti e nelle attività dei progetti in Angola, Etiopia, Mozambico, Rwanda, Tanzania, Uganda, il Prof. Baruffa in Brasile ed altri sparsi altrove.
E non possiamo dimenticare i defunti. Sono 28 medici italiani e 17 non italiani. Ho voluto personalmente cominciare la memoria dei 50 anni del CUAMM andando a salutare, qualche settimana fa, a Livorno la moglie del Dr. Lido Rossi, Elena Falleni e recandomi poi a Castellina Marittima a pregare alla tomba del Dott. Lido Rossi e della mamma di lui, morta a 96 anni nel settembre scorso.
Sono stato anche a Vescovana alla tomba di Mons. Tiziano Scalzotto che ha sempre voluto bene al CUAMM e tanto ha fatto per farlo conoscere e sostenerlo. E’ qui il nipote di lui Rag. Livio Scalzotto a rappresentare anche le sorelle Maria e Tiziana, che pure ci hanno aiutato e che salutiamo e ringraziamo. Ieri sono andato a pregare alla tomba dei vescovi Bortignon e Franceschi in Cattedrale, del prof. Canova al Cimitero Maggiore di Padova e del Dott. Angelo Tasso a Tribano. Mi sembrava doveroso compiere questo gesto perché ritengo siano essi i nostri protettori. Tra i nostri medici defunti ricordo anche il Dott. Francesco Remotti ucciso a Kindu in Congo l’11 novembre 1961 a 29 anni. Aveva ricevuto da poco il Crocifisso prima di partire. Ha lasciato la moglie con 3 figli molto piccoli.
La vita del CUAMM è fatta di tutte queste persone e si regge sull’aiuto di tantissime altre persone che sono state coinvolte in Italia e all’estero. È impossibile contare il loro numero, come è inimmaginabile riuscire a calcolare il numero di quanti hanno potuto usufruire dell’opera del CUAMM, in Italia e nel 3° mondo, soprattutto in Africa. I segni che la Provvidenza ha benedetto quest’opera sono enormi.
Voglio dire grazie a tutte le persone che sono state e sono gli strumenti più diretti della Provvidenza, persone che hanno lavorato tanti anni o sono impegnate da anni nel lavoro all’interno del CUAMM, nelle segreterie e negli uffici dei programmi e della comunicazione. Penso in particolare ai membri della Direzione, a Dal Lago, Chiodini, Marzia, Bosisio, Putoto, Anna Talami e Andrea, ai membri del Consiglio Direttivo, del Consiglio di amministrazione e del Collegio dei Revisori dei Conti, a Gavino Maciocco e ai redattori della rivista. Penso a Don Dante e agli altri sacerdoti, qui presenti, Don GianPietro, Don Antonio, Don Luciano, Don Gino e, aggiungo, Don Livio Rebuli e Don Luigi Bortignon, che prima di lui hanno dato il loro contributo e reso uno straordinario servizio per far crescere il CUAMM. Ad alcune di queste persone, che hanno vissuto più da vicino e più intensamente le vicende e le responsabilità del CUAMM e quindi anche conosciuto e dovuto sopportare di più la fatica e le difficoltà del lavoro e i miei limiti e difetti, ho sentito l’obbligo, non solo a voce ma anche per iscritto, di chiedere scusa, specialmente per i disagi e i dispiaceri che posso avere causato. Assicuro che non c’è mai stata volontà di cattiveria da parte mia verso nessuno, semmai profonda sofferenza.
Voglio anche chiedere perdono per tutti gli errori che abbiamo commessi in questi 50 anni come CUAMM in sé o come appartenenti al CUAMM con dei comportamenti non corretti. Certamente sbagli ne abbiamo fatti. Non avevamo modelli a cui guardare, né esperienze a cui riferirci. Eravamo noi messi alla prova. Dovevamo tentare, inventare, intuire e aprire delle strade che non c’erano. E in ciò, dobbiamo riconoscerlo, siamo stati aiutati da tante figure eccezionali, note o meno, di grande levatura intellettuale, morale, religiosa, professionale, umana, uomini e donne di cultura e di fede, che hanno creato e incarnato lo spirito e la missione del CUAMM, dando solidità alle sue fondamenta e autorevolezza, prestigio alla sua azione. Anche qui faccio solo qualche nome, ma non intendo escludere nessuno: Dal Lago, Baruffa, Invernizzi, la Dr.ssa Corti Lucille (tutti sappiamo quanto ha fatto e come è morta), il dott. Tasso, Lido Rossi e, tra i medici del CUAMM presenti in Africa in questo momento, cito il nome del Dr. Rossanigo (in Uganda) e del Dr. Enzo Pisani (in Angola). Sono persone che hanno avuto una grande carica ideale e una forte motivazione missionaria.
Scrive il Dr. Tasso, il primo medico del CUAMM, partito per le missioni il 17 aprile 1954, alcune settimane dopo il suo arrivo in India:
“Sono arrivato proprio nella stagione del massimo caldo e il termometro di giorno è quasi sempre oltre i 40 gradi ….. Sono stracarico di lavoro, ma ringrazio il CUAMM che mi ha dato la possibilità di lavorare in queste terre a fianco di missionari perché il nome del Signore sia conosciuto ed amato”.
Il Dott. Lido Rossi, il primo medico del CUAMM morto in missione, a 30 anni, in Swaziland il 16 agosto 1958, scrive alla fidanzata dal militare un anno prima di partire:
“Vedi, per quanta buona volontà ci metta, non mi riesce ad immaginarmi a condurre una vita così come la maggior parte dei cosiddetti borghesi la conduce. Non è bisogno di avventura, ma bisogno di fare del bene in una maniera difficile. Se ripenso anche al passato, mi vedo generoso solo quando c’è stato bisogno di qualche sacrificio” (8.11.55).
“Da quando mi iscrissi a medicina, ebbi sempre in mente di essere medico missionario (lettera d un amico).
“La mia decisione è questa: confidare nell’aiuto divino e partire. Anche la mia fidanzata è di quest’animo e ogni giorno di più sente che il desiderio di dare il nostro pur piccolo contributo al lavoro della Chiesa in Africa è un grande dono che lo Spirito Santo ci ha fatto” (lettera al Prof. Canova, 21.5.1956).
“Capisco adesso che bisognava che io dosassi meglio le mie forze con questo ambiente di clima e di lavoro, ma non rimpiango nulla perché Gesù mi dà tanta felicità e speranza e fa il mio entusiasmo immutabile” (lettera al CUAMM ai primi di agosto 1958, pochi giorni prima di morire).
Il Dr. Enzo Pisani, in servizio da 15 anni in Africa con la famiglia, scrive da Uige in Angola in uno degli ultimi fax-messaggi il 24 maggio scorso, con il suo solito stile:
“Qui, nel complesso, nonostante difficoltà e problemi, il morale è alto, non abbiamo ancora cominciato a litigare fra di noi (sono 11 i volontari attualmente in servizio in Angola tra Luanda, Uige e Negage), quindi abbiamo le forze intatte per sopportare mine, incertezze, isolamento etc., e per apprezzare a pieno il privilegio di essere con questa gente”.
Ecco alcuni nomi, alcuni esempi di grandi personalità e di medici autenticamente missionari. È questa la forza, la singolarità del CUAMM.
Ma mi accorgo che qui sto facendo una lettura religiosa della vita del CUAMM, forse troppo idealizzata, fuori della realtà. Non nego e non ignoro la situazione di oggi in molti paesi dell’Africa e gli stati d’animo delle persone, le ragioni che possono mettere in crisi, anche i meglio preparati e motivati, i dubbi, gli interrogativi che nascono e che ciascuno può farsi ogni giorno senza magari trovare risposte adeguate e convincenti, il vedere i bisogni e le sofferenze della popolazione e il riscontrare localmente, in chi ha la responsabilità, un senso di indifferenza e fenomeni di corruzione sempre più diffusa e avvilente.
Ritengo che il ricordare e sottolineare i connotati del CUAMM quale servizio missionario, “ministero di carità” (lasciatemi usare questa espressione), quale opera di Dio, se ci crediamo veramente che tale sia, proprio tenendo conto che il quadro in cui ci muoviamo è difficile, è complicato, sia molto importante, indispensabile, perché non abbiamo mai, non dico vergognarci, ma anche solo mettere in sordina, passare in secondo ordine o anche semplicemente ridurre ad una affermazione di principi o presupporre per scontata questa sua caratteristica essenziale.
Del resto, dedicandomi a sistemare nei mesi scorsi tutto l’archivio del Prof. Canova, quante lettere ho trovato, al di là dei documenti che abbiamo nella segreteria del CUAMM, anche degli anni 50-60, dei primi tempi, dei primi medici, dove emergono problemi, disagi, insoddisfazioni, domande, momenti di difficoltà e di crisi, rapporti tesi, contestazioni, ma insieme anche la volontà di costruire, la forza di continuare, la fede, la gioia, l’amore alla gente e poi il ricordo dell’esperienza vissuta, la nostalgia per l’Africa.
Credo che se la missione in sé è un problema di fede e di amore, come afferma l’enc. Redemptoris missio del Papa Giovanni Paolo II (7.12.1990), anche per la missione del CUAMM valgono questi due elementi: fede e amore, certo da professare senza arroganza, senza esclusivismi, senza chiudere la porta ai doni che Dio sa elargire non usando preferenze di persone o ponendo confini di sorta, quando si tratta del bene dei poveri e del servizio ai sofferenti.
E in questo senso, se la fede esplicita o la motivazione di fede possono non essere condivise da tutti nell’accoglienza tra i membri del CUAMM, l’amore al prossimo, quello autentico, di attenzione alle perone, di rispetto delle diversità, di etica morale e professionale, di servizio agli altri, questo amore non può mancare. E’ l’amore insegnato da Gesù nel Vangelo, è l’amore diffuso dallo Spirito in tanti cuori, ben oltre il nostro metro. Secondo l’evangelista san Giovanni: “Chi ama è generato da Dio e conosce Dio, perché Dio è amore” (1 Gv., 4,7-8). “Chi fa il bene viene da Dio” (3 Gv. 11).
Questo è il mio modo di pensare. Così vedono i miei occhi. E’ la carità praticata da Cristo verso i malati, i bisognosi, i poveri. E’ l’amore di Cristo che suscita le opere di carità, gli eroismi dell’amore, e che ci deve “spingere dentro”: “Caritas Christi urget nos”, come dice S. Paolo (2 Cor. 5,14).
Se ci lasciamo guidare dallo Spirito di Dio, se partecipiamo alle sofferenze di Cristo (2^ lettura della Messa, Rom. 8,14 e 17), e quante sofferenze oggi nel corpo di Cristo (guardiamo all’Africa) se, cioè, sentiamo vivo dentro di noi l’appello angosciante di milioni di bambini, di mamme, di giovani e anziani, uomini e donne: ho fame, ho sete, sono nudo, forestiero, sono malato, e crediamo che tutto quello che facciamo Gesù lo ritiene fatto a sé, se l’amore di Cristo continua a motivarci, a premerci dentro, allora gli interrogativi che spesso e giustamente ci poniamo sui progetti e sulle prospettive del CUAMM per il futuro non ci spaventeranno. Scopriremo sempre orizzonti nuovi, spazi nuovi, possibilità e opportunità nuove, necessità e richieste nuove, troveremo sempre un numero impressionante di persone e di sofferenze su cui siamo chiamati a chinarci e a cui dedicare la nostra attività e il nostro impegno, in Africa o altrove e anche qui in Italia.
Dovremo sempre sforzarci di aggiornare, adattare, diversificare i modi e le forme e adeguare gli strumenti e le risorse umane e finanziarie, ma non tirare i remi in barca, perché i bisogni non cessano (“i poveri li avete sempre con voi”, dice Gesù, Gv. 12,8) e la carità non deve spegnersi. Mi fa sempre riflettere il caso di quell’uomo paralitico incontrato da Gesù sotto i portici di Salomone, vicino alla piscina di Betzatà, che da 38 anni aspettava che qualcuno gli desse una mano e non aveva nessuno. “Non ho nessuno che mi aiuti” (Gv. 5,3-7). Quante volte, se apro gli occhi, rivedo anche oggi quell’infermo paralizzato e sento struggente, quasi di condanna, il suo lamento. Anche voi, studenti, medici, familiari, sostenitori, amici l’avete visto, l’avete percepito. Non chiudiamo gli occhi, non chiudiamo mai il cuore. E’ la testimonianza che come CUAMM dobbiamo dare ed è, secondo le parole che il Papa ci disse all’udienza speciale del CUAMM del 26 settembre 1983, “una delle testimonianze più vive che la Chiesa di oggi rende al suo Signore”. E il Signore oggi ripete a noi, come nel giorno della sua ultima apparizione, prima di salire al cielo, comandò agli apostoli, il suo mandato: “Andate e curate tutte le nazioni …. Ecco io sono con voi tutti i giorni” (Vangelo della Messa, Mt. 28, 19-20).
A 50 anni di vita non dobbiamo sentirci ormai vecchi, un po’ stanchi. Senza minimizzare o nascondere ingenuamente gli ostacoli e le difficoltà o la durezza del cammino, senza rinunciare alla razionalità e alla saggezza delle decisioni, non dobbiamo mai lasciarci sopraffare dallo scoraggiamento o dalla sensazione dell’inutilità e dell’impotenza, dobbiamo mantenerci ottimisti, positivi, entusiasti, giovani, animati dalla “carica” che ci viene dall’amore di Cristo, segni e messaggeri di speranza. La grande passione per l’uomo e per il suo benessere totale che aveva il prof. Canova nasceva in lui e prendeva alimento dalla fede in Dio e dalla sua straordinaria “simpatia per Cristo Gesù” (è il titolo del suo ultimo libro, uscito postumo, rivelazione e sintesi di tutta la sua vita e della sua opera).
Ritengo per tutto questo che la presenza del sacerdote alla guida del CUAMM, come volle che fosse fin dalle origini il prof. Canova, rimanga importante anche per il futuro. Non è questione solo di motivi istituzionali e di legame giuridico con la Chiesa diocesana, essendo il CUAMM nato con la Diocesi e parte integrante dell’Opera San Francesco Saverio, che è un Ente ecclesiastico della Diocesi, ma per evidenziare meglio e per conservare sempre la sua matrice ecclesiale e la sua “ragione missionaria”, favorire la collaborazione con l’attività missionaria e di cooperazione tra le Chiese e i paesi in via di sviluppo della Diocesi, garantire e curare, in uno stato di totale disponibilità non condizionata da altre esigenze, uno degli obiettivi primari del CUAMM, che è anche ciò che lo caratterizza e lo distingue di più, e cioè l’aspetto formativo e delle motivazioni (senza sminuire quello tecnico-professionale, pure indispensabile e qualificante), avere la massima attenzione verso le persone e coltivarne i rapporti, sia dal punto di vista umano che morale e spirituale, ovviamente sempre con il criterio e lo stile della discrezione e del rispetto verso tutti (“solo in un clima di libertà, diceva il prof. Canova, si possono formare convinzioni durature e non creare delle vocazioni fittizie” – discorso per il 25° del CUAMM) e quindi anche nei confronti di persone non credenti che intendono impegnarsi e lavorano con il CUAMM.
Ricordo con ammirazione e sincera riconoscenza parecchie di queste persone che hanno offerto e offrono un ottimo servizio ai paesi in via di sviluppo e si dedicano con competenza e generosità ai loro problemi, dando a tutti un grande esempio. E’ una ricchezza che non bisogna perdere.
Posso dire che, per quanto mi riguarda e mi è stato possibile, ho sempre cercato di essere vicino alle persone sia nei momenti felici che anche nelle occasioni tristi. Il CUAMM non deve mai perdere il culto dell’amicizia e il senso della famiglia. Se diventassimo la migliore ONG – azienda e non fossimo più comunità, famiglia, come oggi siamo qui, sarebbe la morte del CUAMM nel suo valore intimo più inestimabile. Ma questo non deve avvenire mai, perché questo è il segreto della nostra vitalità.
Posso testimoniare poi che il lavorare insieme tra preti e laici all’interno del CUAMM, da 50 anni ormai, è sempre stata e rimane almeno per me, un’esperienza interessante e positiva, che può mettere alla prova, ma che costituisce una bella testimonianza di comunione ecclesiale, un elemento di reciproca integrazione e di aiuto, una garanzia sicura di stabilità e di continuità, un dono prezioso per il CUAMM, da conservare.
Tornando a me, ho chiesto ai promotori della festa che il regalo suggerito nella lettera di invito, di cui non ero a conoscenza, fosse destinato alla “borsa di studio” intitolata alla memoria del prof. Canova. Le figlie Giordana e Anna, che sono qui presenti e che salutiamo e ringraziamo vivamente, hanno già dato una loro somma per avviare la creazione del fondo.
Visto che gli anni passano, come ho cercato sempre di vivere distaccato dalle cose, confesso che di mio non ho niente e non intendo avere assolutamente niente.
Come il diritto canonico invita i parroci a fare, al compimento del 75° anno di età (non ci manca moltissimo), se il Signore non decide diversamente prima, ho il proposito di rimettere al Vescovo il mio mandato, pronto, come la prima volta quando sono stato inviato al CUAMM, all’obbedienza.
Il desiderio che manterrò sempre vivo in me e che è la mia costante preghiera, assieme all’affidamento che faccio ogni giorno a Maria di tutto il CUAMM, che nessuno di quanti il Signore mi ha fatto conoscere e mi ha messo accanto sia infelice: “Sii felice tu e i tuoi figli dopo di te” (1^ lettura della Messa, Dt. 4,40).
Che nessuno di quanti il Signore mi ha affidato si perda, perché tutti, Signore, tu lo sai, porto sempre con affetto nel cuore.