Nuovi strumenti insieme a valori consolidati per affrontare un mondo profondamente cambiato. È quanto si propone la riforma della legge della cooperazione approvata dal Senato in via definitiva il 1° agosto scorso.

Dopo 27 anni dall’approvazione delle legge 49 del 26 febbraio del 1987 e dopo aver attraversato faticose discussioni e dibattiti. Come afferma l’articolo 1 «La cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace, di seguito denominata «cooperazione allo sviluppo», è parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia. Essa si ispira ai princìpi della Carta delle Nazioni Unite ed alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La sua azione, conformemente al principio di cui all’articolo 11 della Costituzione, contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui princìpi di interdipendenza e partenariato».

Non più quindi solo “aiuto alla sviluppo”  in una logica unidirezionale di dono, ma una più larga visione di partnership, di “cooperazione alla sviluppo”. Di conseguenza, la cooperazione è di tutti, trasversalmente, e si allarga la partecipazione anche al privato “profit” delle piccole e medie imprese, dentro un sistema di regole. Un coordinamento più stretto degli attori che conferma al Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale compiti di indirizzo politico mentre all’Agenzia italiana per la cooperazione funzioni di gestione e controllo.

Ci sarà da mantenere alta la vigilanza sui decreti attuativi, necessari per dare gambe all’impianto normativo. Ma è un grande necessario passo avanti, con una particolare sottolineatura: la nuova legge conferma e potenzia il diritto all’aspettativa per i medici della sanità pubblica, fino a quattro anni rinnovabili. Questo diritto è esteso anche ai progetti finanziati dal privato, se il Ministero ne condivide obiettivi e finalità.

 

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