Una nuova battuta d’arresto per le trattative di pace in Sud Sudan. Non è stato creato il governo di transizione che avrebbe dovuto portare il paese a regolari elezioni ed ora la pace sembra di nuovo lontana.

L’accordo e le ostilità

A fine agosto 2015 il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar, capi delle fazioni in lotta dal 2013 in Sud Sudan, avevano firmato nella capitale Juba un accordo di pace molto atteso, ottenuto anche in seguito alle pressioni esercitate dalla comunità internazionale. L’accordo, sul quale Salva Kiir aveva fin dall’inizio dimostrato delle “serie riserve”, prevedeva, oltre alla costituzione di una commissione che indagasse sui crimini di guerra, la fine dei combattimenti, la demilitarizzazione della capitale Juba e la formazione di un governo di transizione nel giro di 90 giorni, che portasse poi a regolari elezioni. A cinque mesi dalla firma dell’accordo, dopo aver prorogato al 22 gennaio la scadenza dei 90 giorni, il governo non è ancora stato formato: abbiamo chiesto a Valerio Granello, nostro rappresentante paese in Sud Sudan, un commento sui fatti recenti del paese.

«Una firma posta solamente per evitare sanzioni internazionali, non è sicuramente un buon presupposto per iniziare un cammino di riconciliazione». Sottolinea Granello, che continua: «Il trattato prevedeva di arrivare entro 30 mesi a libere elezioni, che sarebbero state garantite da un governo di transizione che doveva costituirsi proprio in questi ultimi giorni, portando tutte le forze presenti nel paese ad una grande coalizione di governo. Questo purtroppo non è successo, e in questi mesi ci sono stati tutti i segnali perchè non avvenisse».

In Sud Sudan infatti dalla fine del 2013 è in corso una guerra civile che coinvolge tre dei dieci stati in cui il paese è diviso dal punto di vista amministrativo. Le tensioni sono legate a motivi politici (la rivalità tra Salva Kiir e Riek Machar) ed economici, soprattutto per quanto riguarda le gestione delle risorse petrolifere lì presenti. Queste tensioni hanno però chiamato in causa anche rivalità etniche tra i dinka e i nuer, radicalizzando i termini della contesa. La firma dei trattati di agosto non ha placato le ostilità, come spiega Granello:

«A settembre, a neanche un mese dalla firma dell’accordo di pace, inizia a destabilizzarsi anche l’area degli Stati dell’Equatoria, a sud del paese. Il primo ed il maggiormente interessato, è il Western Equatoria, ed in particolare l’area della capitale, Yambio, quasi al confine con il Congo, e l’area del Greater Mundri, che include anche l’ospedale di Lui, dove i volontari di Medici con L’Africa Cuamm operano fin dal 2009, sostenendo le attività dell’ospedale, i servizi di salute pubblica nella contea di Mundri East ed una scuola per ostetriche. La destabilizzazione di quest’area, da sempre la più pacifica e prospera del Paese grazie ai commerci transfrontalieri con Uganda e Kenya, è un segnale pesante se consideriamo che è avvenuta in un momento in cui ci si sarebbe aspettato l’inizio di un periodo di pace».

Un fragile processo di pace

Il segnale decisivo della violazione del processo di pace arriva però ad ottobre 2015, quando il presidente Salva Kiir, che aveva dimostrato maggiori riserve sulla firma del trattato, sceglie di dividere amministrativamente il paese in 28 nuovi stati, senza consultare l’opposizione.

«La decisione unilaterale di dividere il paese in 28 stati anziché 10, favorirebbe, secondo Salva Kiir – spiega Granello – la devoluzione del potere per una maggiore pacificazione dei conflitti interni fra le diverse tribù ed etnie che animano il Sud Sudan, grazie a delle istituzioni più vicine alla gente che possano garantire l’uso efficiente delle risorse per lo sviluppo di ciascuna comunità. In realtà, molti sostengono che sia stata una manovra per cercare di mettere sotto il controllo dell’etnia del presidente alcune aree del nord del paese, attualmente in mano all’opposizione. La manovra è stata immediatamente condannata dalla comunità internazionale, oltre che dall’opposizione, che ha denunciato un’evidente violazione dell’accordo di pace. Tuttavia, il presidente è andato avanti per la sua strada ed il 31 dicembre i 28 nuovi governatori hanno partecipato alla cerimonia d’investitura nella capitale Juba».

Nonostante la violazione dell’accordo, Valerio Granello riferisce che nelle aree controllate dalle forze governative la costituzione dei nuovi stati era un evento molto atteso.

«Nella mia ultima missione nello Stato dei Laghi, dove Medici con l’Africa Cuamm opera da ormai dieci anni, tutti i colleghi sud-sudanesi che incontravo erano in trepida attesa per il loro nuovo governatore, carichi di aspettative ed orgogliosi che la loro area fosse finalmente stata riconosciuta come uno stato. Tuttavia, questo fervore evidenzia anche come la devoluzione del potere possa di fatto portare ad una maggiore frammentazione dello stato, e quindi ad una potenziale maggiore instabilità».

Leggi le altre testimonianze dei nostri operatori in Sud Sudan

 

Un futuro incerto

Ora che il processo di pace ha subito una nuova battuta d’arresto, il futuro del Sud Sudan è più che mai incerto. Circa un mese fa la moneta è stata svalutata dell’84%, causando il raddoppio dei prezzi dei beni di consumo, mentre molti sfollati continuano a migrare verso l’Uganda e il Congo e si profila il rischio di una nuova emergenza alimentare dovuta al rischio concreto di una carestia.

«Gli allarmi per la mancanza di cibo sono dovuti ad una cronica situazione di emergenza, oltre che ad una stagione delle piogge inesistente. A queste criticità si aggiunge il rischio che i maggiori donatori internazionali, che negli ultimi anni hanno cercato di attivare programmi di sviluppo in Sud Sudan, non se la sentano più di rinnovare il loro impegno proprio a causa dell’instabilità politica. Per questo il fallimento del processo di pace non è un segnale incoraggiante. In questo contesto – prosegue Granello – forse la visita del Papa, invitato di recente dai vescovi sud sudanesi, potrebbe essere un segnale di speranza, in un paese così martoriato, a supporto di una resilienza intrinseca a queste comunità vessate e abituate da decenni di guerre, che stentano a trovare un cammino comune verso la pace».

Medici con l’Africa Cuamm in Sud Sudan

Nonostante le incertezze, noi di Medici con l’Africa Cuamm rimaniamo in Sud Sudan, fin dal 2006. Con un personale internazionale di 47 persone lavoriamo a fianco degli operatori locali all’interno degli ospedali di Yirol, Lui e Cueibet e con progetti di sanità pubblica nelle contee di Yirol West, Rumbek North, Rumbek East, Rumbek Centre e Mundri East. Non solo per affrontare l’emergenza, ma per sviluppare progetti a lungo termine. Per la salute di tutti.

 

In questo contesto di estrema fragilità, il tuo piccolo aiuto riduce le sofferenze e riporta la speranza.

Ad esempio, con:

50 euro doni a una famiglia un “kit emergenza” con cibo, coperte, bacinella e sapone
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100 euro assicuri 10 zanzariere per prevenire la malaria
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500 euro copri i costi di una giornata di missione di una clinica mobile per somministrare vaccini, visite prenatali e controlli dello stato nutrizionale dei bambini
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Puoi donare anche con

  • c/c postale 17101353 intestato a Medici con l’Africa Cuamm
  • IBAN: IT 91H0501812101000000 107890 per bonifico bancario presso Banca Popolare Etica, PD

 

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