Non solo emergenze

L’Africa non soffre solo di emergenze sanitarie o di epidemie. Il tumore alla cervice uterina è la prima causa di morte per cancro in Africa centrale ed orientale: migliaia di morti che sarebbero facilmente evitabili attraverso programmi di screening e trattamento degli stadi precancerosi. Lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che stima siano 266.000 le donne che ogni anno nel mondo muoiono per cancro alla cervice, la maggior parte delle quali in Paesi in via di sviluppo e dell’Africa sub-Sahariana appunto, dove l’accesso alle cure è di fatto troppo spesso negato. In Tanzania vengono diagnosticati ogni anno 7.300 nuovi casi di cancro alla cervice (51 donne ogni 100.000) e 37 donne ogni 100.000 muoiono per questa malattia. Sono invece 2.100 i casi stimati in Italia nel 2015, stando al rapporto Associazione Italiana Registri Tumori.


Puntare sulla prevenzione in Tanzania

Di conseguenza Medici con l’Africa Cuamm ha scelto di puntare in Tanzania sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione, con attività sul territorio. Tra aprile e maggio 2016 sono state infatti organizzate le prime attività delle cliniche mobili: nelle prime quattro uscite nel distretto di Kilosa, area rurale nel centro del paese, sono state già 1.557 le donne sottoposte allo screening, di cui 35 trattate con crioterapia per lesioni precancerose e 5 trattate chirurgicamente. Tutte le donne sono state anche sottoposte al test per l’Hiv e 62 sono risultate sieropositive: potranno in questo modo essere sottoposte alla terapia adeguata. Queste si aggiungono a quelle che si sono fatte visitare nei quattro centri di salute del distretto e nell’ospedale di riferimento a Mikumi, da ottobre 2015 a marzo 2016: 1.890 donne sottoposte a screening, di cui 68 trattate con crioterapia e 45 risultate positive al test per l’HIV.


La risposta sorprendente delle donne

Gaetano Azzimonti, medico del Cuamm specialista in salute pubblica, si dice molto soddisfatto dei primi risultati delle attività:

«Abbiamo scelto di andare incontro alle donne, nelle zone più remote del paese, dove i servizi sanitari sono più difficili da raggiungere e anche la sensibilizzazione è lacunosa. Abbiamo coinvolto i Community Health Workers (operatori di salute comunitaria): persone impegnate a monitorare lo stato di salute delle comunità in cui vivono. Quando con l’attività di clinica mobile arriviamo a un dispensario di cure, prima formiamo i Community Health Workers per sensibilizzare le donne sull’importanza della prevenzione, poi loro partono per raggiungere tutte le donne nelle case e consegnare l’invitation card, con cui queste si potranno presentare alla visita nel dispensario più vicino. E la risposta delle donne è stata davvero buona, in certi casi sorprendente: il primo giorno siamo andati avanti con le visite fino a tarda sera, dovendo anche chiedere ad alcune donne di spostarsi verso il centro di salute di riferimento, tanta era l’affluenza!».

Le cliniche mobili si sono indirizzate in questa prima fase del progetto verso i dispensari che servono le zone più popolose del distretto: il 96% delle donne che si sono presentate al dispensario per lo screening portava con sé l’invitation card, a riprova del successo nell’attività di sensibilizzazione dei Community Health Workers. In tutto si stima che l’80% delle donne contattate si sia presentato al dispensario: percentuali molto alte, per niente scontate considerato il contesto e le abitudine delle persone. Da un’indagine conoscitiva svolta alcuni mesi prima nella stessa zona, emerge infatti che, sebbene il 78% delle donne fosse a conoscenza dell’esistenza del problema del cancro alla cervice, l’86% dello stesso campione dichiarava di non essersi mai sottoposta allo screening e solo il 48% diceva di essere a conoscenza di luoghi in cui fosse possibile recarsi per fare lo screening.

«Per il successo dell’iniziativa ha contato il fatto che il servizio offerto dal Cuamm fosse gratuito – spiega ancora Gaetano Azzimonti – ma di certo anche il fatto di coinvolgere i Community Health Workers e i leader comunitari è stata determinante: le donne si sono fidate, hanno creduto nel valore della prevenzione».

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