Dolore, rabbia, pietà, sdegno, preghiera. Sentimenti tumultuosi e dirompenti che in questi giorni dilaniano l’anima e tolgono la voglia anche dei piccoli sorrisi. Abbiamo alcune convinzioni che desideriamo condividere e per le quali continuare a lottare.
Quello che crediamo
Ogni giorno, lavorando a fianco degli africani, sperimentiamo la loro grande energia e voglia di vivere, di trovare la felicità e un ruolo nel proprio paese: siamo convinti che una persona sia più felice e trovi maggiore realizzazione nel vivere a casa propria, con i propri congiunti, piuttosto che intraprendere questi viaggi della disperazione, ad alto rischio e dall’esito così incerto, viaggi che promettono la libertà, ma spesso e nella migliore delle ipotesi finiscono nei campi profughi. Un esempio concreto lo abbiamo a Yirol, in Sud Sudan e ha il volto di John, il nostro driver. Il suo sogno era di fuggire in Europa il prima possibile per dare un futuro ai suoi figli. Oggi, dopo pochi anni, John è fiero di essere rimasto a Yirol, dove ora c’è un ospedale che può curare i suoi bambini e una scuola dove possono studiare. Oppure quanti esempi di persone disposte a sacrificare la vita per il proprio paese, per il bene dei propri vicini, abbiamo conosciuto nella Sierra Leone colpita dall’Ebola. Operatori sanitari locali che sono rimasti in prima linea, affiancati dai nostri medici, per sconfiggere questo terribile flagello e creare le condizioni per poter vivere in sicurezza e serenità.
Quello che non vogliamo
In oltre 60 anni di impegno in Africa, è la prima volta che assistiamo a un fenomeno di tale entità. La disperazione è aumentata a causa dell’aggravarsi di guerre, di persecuzioni, di odio. Pensiamo alla situazione in Libia, in Nigeria e in tutto il Medio Oriente: folle di disperati che scappano. Ma cosa dovrebbero fare? La gente è costretta a fuggire alla ricerca di un’unica cosa: la libertà, la possibilità di una vita dignitosa. E quindi, che fare? Non di certo “buttarli in mare” o “lanciare delle bombe sui barconi”, come si legge in questi giorni: espressioni INDEGNE di persone umane. Non vogliamo che persone come noi, uomini, donne, bambini muoiano in mare, in assenza di aiuto. Tutti abbiamo il dovere di soccorrerli. La gestione dei flussi e l’integrazione restano un grande problema che richiede risposte articolate e profonde ma prima di tutto viene il dovere umanitario del soccorso.
Quello che facciamo
Lavoriamo ogni giorno per creare le condizioni affinché le persone possano vivere dignitosamente nel loro paese, abbiano il diritto alla vita, abbiano ospedali e sistemi sanitari funzionanti e accessibili a tutti. Soprattutto formiamo il personale locale, che è la leva più importante dello sviluppo, ciò che può fare la differenza, sia alla base che a livelli più alti e dirigenziali. Lavoriamo lì, alla sorgente dei drammi cui assistiamo, sui fattori fondamentali che provocano i grandi movimenti di popolazione nel continente: disuguaglianze economiche e assenza di riconoscimento dei diritti fondamentali. Lo facciamo con persone, operatori volontari e cooperanti che dedicano professionalità e competenza a questa causa. Persone come Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano che ha perso la vita nel silenzio in Pakistan: alla sua famiglia, all’organizzazione per cui ha lavorato, ai tanti amici e colleghi che hanno condiviso un pezzo di strada con lui, va tutta la nostra solidarietà e vicinanza. Perché la “cooperazione” non è un concetto astratto o una parola vuota: è fatta di persone, di scambio reciproco, di trasferimento di conoscenze e competenze che avviene solo attraverso la condivisione.
E da questo scambio, che viviamo ogni giorno, nasce la consapevolezza e il richiamo a METTERCI NEI PANNI degli altri ed essere meno egoisti. Anche noi italiani siamo stati immigrati, non troppo tempo fa dopo la guerra, in un momento storico faticoso in cui però ci si aiutava di più. Purtroppo il benessere non favorisce la generosità, ma tende a renderci più egoisti. Proviamo a metterci nei panni degli altri. In altre parole, “fate agli altri quello che vorreste gli altri facessero a voi”: oltre ad essere Vangelo, è il fondamento di ogni religione e della stessa civiltà umana.
Don Dante Carraro
direttore di Medici con l’Africa Cuamm