Per molti anni non sono più tornato ad Angal. Mi ricordo ancora il giorno della nostra partenza, tutto il personale dell’ospedale ha organizzato una festa, hanno portato dei regali e dei biglietti di auguri e di buona fortuna. Quando la macchina ha iniziato ad allontanarsi, tutti sono rimasti in fila ai lati della strada, in silenzio, salutando con la mano. Non mi sono voltato, la sensazione era di una nostalgia struggente, di un senso di abbandono definitivo, di vedere alcune persone care per l’ultima volta; infatti, in diversi casi è stato così, poiché l’AIDS e altre malattie hanno successivamente falciato molti di loro. – LUCA SCALI, “TORNARE AD ANGAL” TRATTO DALLA RACCOLTA “RACCONTI DI PACE”

Inizia così “Tornare ad Angal”, una raccolta di racconti che lo scorso 13 dicembre è stata premiata nella sezione “Inediti” del Premio Letterario Firenze per le Culture di Pace, organizzato da Comune di Firenze, Provincia di Firenze, Regione Toscana e Associazione Un tempio per la pace.

L’autore è il dr. Luca Scali, originario di Poggibonsi (SI), che insieme a Medici con l’Africa Cuamm ha trascorso ad Angal, in Uganda, più di due anni della sua vita, dal 1988 al 1990, quando – come racconta lui stesso – “ero un giovane medico, pieno di entusiasmo e di voglia di fare, con nessuna paura”.

Il Premio Firenze per le Culture di Pace, giunto quest’anno alla nona edizione, nasce per stimolare le coscienze con la forza delle testimonianze. In quella del dr. Luca Scali rivivono gli incontri con tanti amici e colleghi, riemergono scorci di giornate spese per proteggere la salute di mamme e bambini, i più vulnerabili; nel ricordo di Nataline, Judith, Hellen e tutti gli altri, il dr. Scali ci accompagna a conoscere la pena e la bellezza d’Africa, le paure e le speranze.

Poco dopo il mio arrivo ad Angal, avevo la responsabilità del reparto femminile, sia medico che chirurgico. Era ricoverata nel reparto una ragazza molto giovane, di circa venticinque anni, fortemente anemica, a causa di qualche motivo sconosciuto. Mi ricordo che ho molto studiato il caso, ho chiesto ripetutamente consiglio ai colleghi, abbiamo una volta fatto un consulto tutti assieme, attorno al letto della paziente. Una notte mi hanno chiamato a casa, chiedendomi di andare in ospedale; ho subito capito che la  ragazza era morta o stava per morire. Ho sentito un forte peso alla pancia, un disagio forte, una voglia di non andare in reparto, di fuggire da questa situazione. Non sono andato da solo, ho chiesto ad un collega di accompagnarmi. La ragazza era deceduta, era stesa sul letto nella penombra di un lume ad olio, alcuni familiari le erano attorno. I familiari non hanno detto niente,  una compostezza triste, rassegnata, che poi avrò modo di incontrare molte altre volte. Ho preso la cartella clinica in mano, ho cercato di capire cosa era successo. Mauro, il collega che mi  aveva accompagnato, mi ha detto “dai torniamo a casa, non possiamo fare più niente”. Siamo andati a casa in silenzio. Non so se si sarebbe potuto fare qualcosa di diverso con i mezzi a disposizione, ma di sicuro non si dimentica facilmente la prima persona deceduta nel reparto dove sei il responsabile. – LUCA SCALI, “TORNARE AD ANGAL” TRATTO DALLA RACCOLTA “RACCONTI DI PACE”

Informazioni:
www.untempioperlace.it

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