L’uomo che entra in aula è vestito con una polo a maniche lunghe spiegazzata e un paio di pantaloni cachi con vistose macchie d’unto. Senza salutare né dire una parola poggia sulla cattedra due buste in plastica il cui contenuto è difficile da indovinare e rovista in un’altra sacca in tela lacera che ha portato con sé. Sbircio le reazioni di chi ho intorno: i miei colleghi del Cuamm, gli studenti e i professori lo fissano sbalorditi. In Mozambico ci sono ambienti in cui la formalità è importante, e l’Università è uno di questi. Lui, però, sta infrangendo qualsiasi etichetta ancor prima di cominciare il suo intervento.

Siamo qui per partecipare a una giornata di sensibilizzazione sui temi dell’Hiv.
A Beira il Cuamm sviluppa un progetto dedicato a informare soprattutto i giovani sui temi della salute riproduttiva e sui comportamenti da tenere per evitare il contagio. Spingiamo ragazzi e ragazze a testarsi e li supportiamo con cure, consigli e indicazioni nel caso risultino sieropositivi.

Per questo abbiamo accettato ben volentieri l’invito della professoressa Anna.
Hamilton, Natalia, Edson ed io abbiamo quindi preparato i materiali per l’intervento e allestito le tende per testare gli studenti appena fuori dalla struttura. Il programma della mattinata prevede che, prima di noi, parli l’uomo che ora sta distribuendo volantini a tutta la platea. Dopo aver ripreso posto davanti alla cattedra si presenta come il referente di una ditta farmaceutica malese, scandisce a beneficio dei presenti il proprio contatto telefonico e srotola un enorme foglio di carta nel quale sono presi appunti alla rinfusa. Inizia a parlare di pulizia intestinale, e di quanto sia importante per evitare il diabete e altre malattie.

Lo ascolto perplessa e il mio primo pensiero è che, forse, sono finita nel posto sbagliato.

Lui si interrompe, fruga nelle buste di plastica, e ne riemerge con alcuni mazzetti d’erbe che a suo dire servirebbero a guarire tutti i mali del mondo tra cui l’Hiv, la tubercolosi e altre patologie che studio da anni… Il suo discorso diventa sempre meno condivisibile e in più occasioni sono tentata di alzarmi e sbugiardarlo. Sono sempre aperta ad altre medicine e visioni del mondo, ma non posso sopportare che qualcuno faccia credere a un’aula di studenti che una manciata di spezie non ben identificate possa sostituire cure di comprovata efficacia.

Appena vedo che la professoressa Anna si allontana dalla sala le corro dietro infuriata. Quando siamo sole, le dico che la situazione è gravissima: quell’uomo vuole solo vendere le sue erbe e sta riempiendo di informazioni non veritiere gli studenti. «Non possiamo stupirci se gli studenti non conoscono nulla sulla salute riproduttiva, se questa è la nostra offerta formativa!» esplodo.

Mi sento davvero in imbarazzo: formare gli studenti è un’attività importantissima e non ho la presunzione che i nostri insegnamenti siano gli unici validi, ma non possiamo ignorare che i nostri rimedi salvano davvero le vite. Non possiamo permetterci di metterli in discussione.

Il mio sfogo ha l’effetto di lasciare la professoressa senza parole per qualche attimo, poi comincia a chiedermi scusa pregandomi di non andarmene, insistendo perché non vuole rinunciare alla nostra presenza al seminario.

Per qualche istante sono tentata di andarmene, ma poi respiro a fondo e rientro nell’aula, convinta che sia importante, nonostante tutto, continuare a educare i ragazzi. Così, quando viene il nostro turno, procediamo con l’intervento che avevamo preparato. Gli studenti ci seguono partecipi, fanno domande e noi ci rilassiamo, raccontiamo tutto ciò che ci è possibile, cerchiamo di essere persuasivi e interessanti.

Finito l’incontro sono tanti quelli che passano dalle tende per il test dell’Hiv e ne siamo soddisfatti. Io però non riesco ancora a darmi pace per l’atteggiamento della professoressa. Mi sono resa conto che è lei la prima a essere combattuta: è informata sui risultati dei nostri interventi e delle cure che dispensiamo, ma non riesce a essere del tutto indifferente alla medicina tradizionale fatta di erbe e formule magiche, perché è quella con cui anche lei è cresciuta. Se vogliamo davvero prevenire il diffondersi dell’Hiv, il primo passo da fare è adottare comportamenti consapevoli.

Mentre guardo gli studenti in fila fuori dalle tende attendere il loro turno per testarsi, mi dico che è difficile confrontarsi con queste realtà ma che, proprio per questo motivo, il nostro intervento è ancora più importante. La scuola, l’università, i centri di aggregazione dei giovani: sono questi i posti in cui dobbiamo essere presenti per informare, educare, coinvolgere e spingere al cambiamento.

 

Liliana Praticò

Medici con l’Africa Cuamm, capoprogetto su adolescenti e Hiv.

 

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