A Beira, è ricominciato a piovere. L’acqua entra nelle case, negli uffici, in ospedale, non ancora riparati dopo la devastazione causata dal ciclone Idai. Chi può si arrangia con catini e teli di nylon. A poco più di un mese di distanza, la situazione a Beira è ancora molto lontana dalla normalità. «Serviranno alcuni mesi per uscire dall’emergenza pura», ci dicono i nostri volontari. Anni per ricostruire le case, le strutture sanitarie e non. Gli ultimi dati parlano di 1.850.000 persone colpite dal ciclone; 602 morti, numero destinato a crescere; 130.000 sfollati e 350.000 le persone che hanno bisogno di cibo e acqua pulita, 700.000 ettari di campi coltivati persi, il 90% della città è stato distrutto.
Però la vita continua. Chi c’è, riprende pian piano a vivere. Ogni giorno ha bisogno di bere acqua pulita e di mangiare qualcosa. «I bambini frugano dalla spazzatura per cercare cibo e la distribuzione di viveri nei centri di accoglienza viene presa d’assalto», racconta Matteo Capuzzo, volontario Cuamm, andato in Mozambico nei giorni successivi al ciclone per dare una mano alla ripresa delle attività.
E poi c’è il colera. Sono oltre 4.300 i casi registrati ad oggi. Un’epidemia che si vuole arginare, con ogni mezzo. I volontari del Cuamm a Beira si impegnano nelle attività messe in campo per questa fase: dalla formazione e supervisione degli attivisti che stanno percorrendo la città e i dintorni per contattare tutte le famiglie e fare informazione e prevenzione, in modo da contenere il contagio del colera; al servizio offerto attraverso le tre ambulanze che mettono in collegamento la città e il territorio con quello che rimane dell’Ospedale Centrale; fino alla riapertura, in ospedale, di una piccola stanza adibita a neonatologia, dove poter accogliere i bimbi appena nati che hanno bisogno di cure speciali.
«La situazione rimane drammatica. C’è molto da fare nella ricostruzione: tutti i registri con i dati epidemiologici dei centri di salute sono andati perduti, così come le attrezzature e i farmaci; molti sono gli sfollati e le persone che hanno perso tutto», precisano dal campo.
Si tratta della peggiore catastrofe naturale che si è abbattuta sull’Africa negli ultimi 10 anni. Per la ricostruzione serviranno almeno 250 milioni di euro. Molti sono stati gli aiuti internazionali già arrivati, ma non sono abbastanza. Ora è necessario un grande lavoro di coordinamento e di squadra. «Ho imparato che nella gestione di un’emergenza fare squadra è fondamentale e ciascuno ha il proprio ruolo nella risposta – dice Giselle Daiana Genna, operatore Cuamm a Maputo -. Da quando è scoppiata l’emergenza, ognuno di noi lavora per tre con grande grinta. Ci sono tante cose da coordinare».
Eppure in questi momenti la forza di un popolo emerge tutta. «La popolazione non si tira indietro, ha voglia di reagire con coraggio, con una grandissima forza», conclude Giovanna De Meneghi, responsabile dei progetti Cuamm in Mozambico.