«Ho 40 anni, sono nata a Bo e lavoro in questo ospedale da sette. Sono infermiera diplomata e ho lavorato in chirurgia, infettivi e Tubercolosi prima di arrivare al reparto di ostetricia. Anche durante Ebola ho lavorato qui. Ho sempre desiderato fare l’infermiera, mi sembra la professione migliore, nobile. Mi interessa soprattutto la terapia post intensiva e mi piacerebbe seguire corsi di aggiornamento per migliorare il mio lavoro. E ho anche il sogno di poter seguire il corso di ostetrica. Qui la sfida quotidiana è la mancanza di letti, siamo sempre sovraffollati. Un altro problema è la mancanza di farmaci in ospedale e che i pazienti devono comprarsi: noi facciamo le prescrizioni, ma poi non hanno i soldi per comprarle. Vediamo casi molto gravi, a volte tragici. Ricordo una donna pluripara che per una parto ostruito era arrivata con una fistola vescicovaginale ed era stata abbandonata dalla famiglia, che non le portava neppure da mangiare. Siamo intervenuti ma con i nostri mezzi non bastava. Il medico del Cuamm, Salim Bataale, è riuscito a farla ricoverare in una unità specializzata della Fistula Foundation dove sono riusciti a salvarla, ma asportando l’utero. Per lei è stato molto duro perché poter avere figli conta ancora moltissimo qui. La donna che non ha figli dopo un paio d’anni è incalzata dai familiari, addirittura traumatizzata, e spesso il marito si prende un’altra moglie. La pianificazione familiare stenta ad affermarsi, anche se in ospedale c’è una unità dedicata. Gli uomini vogliono tanti figli, anche se poi si fa fatica a crescerli e la donna è esausta. C’è un grosso lavoro da fare anche in questo campo».

(Testo e foto raccolti da Susanna Pesenti)

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