Siria, Afghanistan, Iraq sono in primo piano nei flussi migratori via mare, ma anche molti altri paesi dell’Africa sub-sahariana continuano a essere “in fuga”.

«A maggio 2016 sono 2,4 milioni coloro che hanno abbandonato le proprie case, di cui 712.000 hanno cercato rifugio nei paesi confinanti. A spingere alla partenza, oltre all’insicurezza fisica, anche quella alimentare» – ci racconta Chiara Scanagatta, desk officer rientrata da poco in Italia dopo una lunga esperienza come country manager Cuamm in Sud Sudan -.

In questo paese a febbraio 2016, UNICEF, FAO e WFP hanno lanciato l’allarme: 2,8 milioni di persone (25% della popolazione totale) a rischio per quanto riguarda l’accesso ad adeguate derrate alimentari, 40.000 al limite della catastrofe (qui per approfondire). Questa situazione dipende dalla combinazione di diversi fattori ambientali, politici ed economici, che fanno sì che il problema non sia isolato alle aree interessate direttamente dal conflitto, ma interessi l’intero paese. Nel 2015, inoltre, la stagione secca si è prolungata più del previsto, compromettendo le attività agricole, già limitate e compromesse da episodi di razzia o dall’insicurezza nell’area. Il mercato locale si è fatto sempre più povero e inaccessibile, anche a causa del crollo del prezzo del petrolio (da cui dipendono il 98% delle entrate sud sudanesi) e della parallela svalutazione della moneta locale».

Non solo Sud Sudan. Di migranti, diritti negati, rotte incerte parleremo nel nuovo numero di Salute e Sviluppo, in arrivo nelle prossime settimane e dedicato proprio a loro: a chi è costretto a migrare in nuove terre in cerca di dignità, salute, o semplicemente per sopravvivere.

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