Nella notte fra domenica e lunedì le forti piogge hanno provocato una frana di rifiuti nella principale discarica di Maputo, in Mozambico. Tonnellate di spazzatura sono crollate e hanno sepolto almeno diciassette persone, anche se i numeri non saranno mai davvero definitivi: sono infatti in centinaia a setacciare la discarica ogni giorno alla ricerca di ferro, plastica e ogni materiale che possa essere riciclato e venduto. Sebbene sia formalmente vietato, sono addirittura sorti piccoli insediamenti di baracche improvvisate con una propria vita e una propria economia.
Le megalopoli, affollate e prive di servizi, sono meta di tanti che sempre più spesso si muovono verso le città nella speranza di una vita migliore, trovando però soprattutto disuguaglianze e nuove forme di povertà. L’urbanizzazione non controllata, la mancanza di infrastrutture e la spazzatura causano tragedie come quella di Maputo con una frequenza che preoccupa: era successo meno di un anno fa in una discarica in Etiopia, poi ci sono state le alluvioni in Sierra Leone, in Repubblica Democratica del Congo, e oggi in Mozambico.
Medici con l’Africa Cuamm è nel paese da quarant’anni e a Maputo ha la sua sede di coordinamento. Riportiamo le parole che ci scrive Giselle Genna, operatrice Cuamm in capitale: «Non smette di piovere e la tristezza per i fatti accaduti ieri è tanta, qui in ufficio la sentiamo tutti. Stamattina ero imbottigliata nella strada per l’ufficio sotto la pioggia torrenziale. Davanti a me avevo uno chapa, un veicolo a cassone scoperto utilizzato come mezzo di trasporto pubblico. Spesso sono così affollati che vengono chiamati my love, perché i passeggeri ci viaggiano sopra stretti e vicini come in un abbraccio tra innamorati. E mentre tutte quelle persone si reggevano l’una all’altra, infradiciandosi sotto l’acquazzone, io le guardavo dall’asciutto e sicuro del nostro grande pick up, con in sottofondo un pezzo jazz diffuso attraverso il bluetooth del mio cellulare. E lì, ancora una volta, ho pensato alla parola ingiustizia, e a come affrontare le disuguaglianze senza impazzire, trovando dei compromessi giornalieri.
Uscita dal traffico, ho assistito poi alla dolce scena che vedo ogni mattina: all’ingresso di un asilo, due giovani con la loro divisa, una capulana di stoffa arancione, accolgono i bambini portati dai genitori. Questa mattina anche i loro ombrelli erano arancioni e i loro gesti avevano la cura amorevole di sempre. È stato in quel momento che ho ripetuto a voce alta una frase che mi gira in testa da giorni: “E così è la vita, dall’ingiusto e incomprensibile, passando al sublime e straordinario, il tutto in un batter di ciglia”».