Ricorre venerdì 25 maggio l’Africa Day, che vuole celebrare il cammino dell’Africa verso l’indipendenza e l’impegno della sua gente per un futuro migliore. In questa occasione Medici con l’Africa Cuamm vuole richiamare l’attenzione sui bisogni del continente, ma anche sottolineare come solo attraverso il protagonismo della sua gente sia possibile portare avanti progetti di sviluppo veramente efficaci.
Un protagonismo che Medici con l’Africa Cuamm incentiva ogni giorno, lavorando sul campo con oltre 1660 persone, la maggior parte delle quali di origine africana. Nei sette paesi di intervento infatti 260 cooperanti di origine europea (di cui 250 italiani) lavorano ogni giorno a fianco di oltre 1400 operatori di origine africana, tra medici, infermieri, amministrativi e logisti.
Dalla Sierra Leone anche Steven Ngoma, medico Cuamm che lavora nell’isola di Bonthe, testimonia il bisogno di lavorare con l’Africa, raccontando la sua esperienza di medico ritornato in Africa con tutta la famiglia.
«Sono originario della Repubblica Democratica del Congo e lì, mentre lavoravo in un ospedale governativo, ho conosciuto Céline, un’infermiera svizzera che oggi è diventata mia moglie. Ci siamo sposati e nel 2016 ci siamo trasferiti in Europa, non per restarci, ma per studiare. Ad Anversa infatti mi sono specializzato in medicina tropicale, mentre Céline ha fatto un master in salute pubblica. Il nostro obiettivo fin dall’inizio era tornare in Africa, ma con maggiori competenze, per fare la nostra parte per migliorare la situazione del continente che amiamo».
«Così abbiamo conosciuto il Cuamm e siamo finiti qui a Bonthe, in un’isola remota al sud della Sierra Leone – continua Steven – e se siamo qui è perché insieme crediamo nella possibilità di contribuire al cambiamento. C’è molto da fare e dobbiamo concentrarci sui bisogni e sui pazienti, chiedendoci sempre cosa succederebbe senza aiuti dall’esterno, pensando alla sostenibilità dell’intervento. Bisogna essere onesti: penso che tutti dobbiamo rimboccarci le maniche, noi abitanti dell’Africa per primi, e lasciare da parte certi automatismi consolidati, ma il cambiamento non è impossibile. Io l’ho visto accadere in diversi progetti in cui ho lavorato e penso che il coinvolgimento della comunità sia la chiave. Qui per esempio è in corso un programma che coinvolge 900 operatori di salute comunitari e vedo che sono queste le persone che assicurano un legame tra le strutture sanitarie e i villaggi, fanno sensibilizzazione, tengono sotto controllo i bisogni e lo stato di salute della loro gente. Così il sistema sanitario crescerà su delle basi solide».
Il salto dall’Europa alla Sierra Leone non è affatto facile, tantomeno con un bambino di un anno e mezzo, racconta Steven.
«Sono venuto a Bonthe per la prima volta da solo, a marzo, per capire se era un posto dove potevo portare anche la mia famiglia. A maggio quindi sono arrivati anche Céline e Maximilian, che oggi ha quasi 18 mesi. Il primo periodo è stato difficile stare lontano dalla mia famiglia, ora che sono tutti qui sono felice, anche se ci sono altri tipi di difficoltà: trovare cibo buono per Maximilian, proteggerlo dal caldo e dalle zanzare. La stagione delle piogge dovrebbe essere già iniziata, ma sta tardando e le temperature sono davvero estreme. Però quando vediamo che Maximilian è felice, siamo felici anche noi. Qui quando hai un bambino è impossibile che resti da solo. Anzi, abbiamo il problema inverso: la casa è invasa fino a sera da altri bambini che vengono a giocare e non c’è mai un momento di pace!».
Il primo pensiero di Steven, che lavora nella maternità dell’ospedale governativo di Bonthe, restano comunque i risultati da raggiungere:
«Qui in ospedale adesso le cose vanno bene, gli accessi stanno aumentando, abbiamo più donne ricoverate ed è bello vedere un cambiamento del genere in pochi mesi dal mio arrivo. Ci sono ancora tantissime cose da fare, partendo proprio dalla formazione del personale, non solo ospedaliero. La gente qui ha sete di conoscenza e c’è bisogno di condividerla, per migliorare la situazione attuale».