All’indomani della cerimonia ufficiale che ha sancito la nascita del Sud Sudan, Medici con l’Africa Cuamm ha raccolto il punto di vista di Enzo Pisani, medico con una profonda esperienza di Africa, ora capo-progetto a Yirol.

Che strada si apre per il neo-nato Stato del Sud Sudan, ora che è stato proclamato?

I primi anni saranno una vera sfida. La gente continua a litigare e il sospetto è che a fomentare queste liti ci sia la mano di Karthoum. Da millenni le tribù che abitano il Sud Sudan, per lo più i Dinka, ma anche molte altre, hanno qualcosa su cui discutere e scontrarsi; l’unico modo che avevano di “calmarsi” era quello di unirsi per la lotta contro il Nord. Ora che non si combatte più contro il Nord, potrebbero ricominciare i conflitti interni tra le tribù.

Nella nostra contea, da tre mesi, è in atto un conflitto che ha provocato migliaia di senza tetto. Sono fuggiti dalle loro abitazioni, non hanno potuto coltivare i campi e a settembre, il periodo di raccolto, non ci sarà nulla da raccogliere e da mangiare. Li abbiamo aiutati, per quello che abbiamo potuto, abbiamo distribuito kit di emergenza e viveri, ma non si possono sfamare decine di migliaia di persone. Non ne abbiamo le forze e i mezzi.

Che aria si “respira” in questi giorni a Yirol?

La gente è emozionata, pensa che con la nascita del nuovo Stato tutto cambi, si aspettano salari più alti, che siano costruiti strade, scuole, ospedali puliti, infrastrutture, ma per fare questo c’è bisogno di decine di anni. Il paese rimane ancora dipendente dal Nord, che però, per esempio, nei giorni scorsi ha ridotto le quantità di combustibile per il Sud e il prezzo è schizzato: per andare da Yirol a Juba (circa 230 km) si spendevano 70 dollari, ovvero 2/3 dello stipendio di un infermiere che dunque non aveva i soldi per tornare indietro. Il Sud è ricco di petrolio, ma è il Nord che ha la possibilità di trasformarlo in combustibile.

Mi aspettavo che, in questi sei mesi tra il referendum e la proclamazione dell’indipendenza, le autorità facessero qualcosa di più, ci sono grandi questioni ancora irrisolte: per esempio chi si accolla il debito pubblico? Che si farà per la banca centrale, ce ne saranno due? Lo stato di cittadinanza e molto ancora. Non si sono fatti passi avanti.

Gli scontri continuano soprattutto nella zona di Abiyei…

Ora il fuoco è lì. Le voci dicono che sia in atto una sorta di pulizia etnica dei sud sudanesi. In quella zona il referendum non è stato fatto, perché la regione a tutti gli effetti appartiene al Sud, è abitata dai Dinka, ma c’è anche una grossa componente di pastori arabi e quindi non si è deciso chi avesse il diritto di votare. In questa zona c’è troppo petrolio e Karthoum ha deciso di occuparla. La conseguenza è che 30.000 persone hanno perso la casa.

Non vedo soluzioni a breve, rimarrà un focolaio per anni. O la gente e i governanti si mettono a lavorare sul serio, a fare accordi, oppure se continuano a irrigidirsi, si arriverà alla guerra. Magari non una guerra che va sui giornali, ma conflitti interni che comunque bloccheranno lo sviluppo e l’economia. Fondamentali saranno anche le prime scelte del nuovo governo, per esempio la questione di come distribuirà le cariche. Le diverse contee si aspettano dei ruoli importanti, anche se i Dinka hanno portato il peso maggiore della guerra, molte altre tribù hanno dato il loro appoggio e ora si aspettano di avere un ruolo significativo nella costruzione del nuovo Stato. È necessario agire bene e in fretta per produrre sviluppo, idee, creatività. È una bella scommessa.

Ormai sei in Sud Sudan da abbastanza tempo, come è la popolazione?

I Dinka hanno una struttura rigidissima che, da millenni, sopravvive uguale a se stessa e che li ha protetti dalla follia della guerra e della disgregazione (sono una generazione nata durante la guerra). Può sembrare primitiva, possono sembrare degli allevatori di bestiame. La loro vita ruota tutta attorno alle vacche: le mogli si comperano con le vacche, e chi è più ricco ha più vacche e più mogli. Possono sembrare arretrati, ma non lo sono. Hanno una tradizione e una cultura molto affascinanti, proprio perché vivono da millenni. Hanno tutto il mio rispetto. Sono persone pulite dentro e vere, antichi, li definirei così più che primordiali. Finora hanno difeso il loro territorio, che è molto paludoso e quindi facile da preservare, ma ora devono costruire uno Stato ed è tutta un’altra cosa, non è facile.

Nel rapporto con loro manca la mediazione linguistica, perché non parlano inglese. Quindi percepiscono tutto dalla comunicazione extra-verbale. Non puoi nascondere nulla, non puoi “difenderti” con le parole. Se loro percepiscono che li consideri interessanti e che è bello stare lì con loro per dare una mano, allora è possibile instaurare un rapporto, allora vengono in ospedale, ti ascoltano, altrimenti no. Se percepiscono dai tuoi sguardi, dai tuoi gesti che li consideri sono dei “vaccari”, si allontanano, non vengono in ospedale, tanto per millenni sono vissuti senza medici! Non puoi bleffare, leggono quello che hai dentro e quello che sei.

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