Cosa significa “missione” oggi?
Per spiegare al meglio il senso di questo termine, sono preziose le parole e gli insegnamenti che ci dà ogni giorno Papa Francesco, che ci invita ad essere una comunità cristiana aperta, attenta agli altri e non chiusa, silenziosa, ripiegata su se stessa. I nostri occhi devono saper guardare al mondo che è grande, molto più grande della nostra piccola “casa” e ci chiama all’amore verso gli altri, proprio come ci chiede di fare il Vangelo.
Qual è lo spirito che muove i missionari della Diocesi di Vicenza?
Lo spirito che muove i tanti missionari che oggi sono nel mondo unisce quello dei molti giovani che hanno un modo nuovo di considerare la missione e quello dei più “vecchi” cha hanno dedicato la loro vita agli altri.
Nella Diocesi di Vicenza i missionari sono per lo più religiosi e religiose ed è motivo di grande orgoglio per noi sapere di aver contribuito a donare alla Chiesa persone così impegnate e attente agli ultimi. Fino a 12 anni fa i missionari nel mondo erano circa 1200. Dopo il Concilio Vaticano II, la Diocesi ha assunto una responsabilità diretta nei loro confornti aprendosi anche alla figura dei missionari fidei donum, preti, laici e spesso anche diaconi e religiosi “prestati” temporaneamente alla missione. Ad oggi i preti fidei donum della Diocesi di Vicenza che hanno dedicato tempo e vita alle altre Chiese sono circa 70.
Con grande dispiacere ci siamo dovuti ritirare dall’Africa a seguito del rapimento in Camerun dei due nostri missionari, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, liberati dopo due mesi di prigionia. Abbiamo vissuto momenti di paura ma il nostro dovere è quello di andare avanti perché sentiamo di dover restituire qualcosa di quello che abbiamo ricevuto fino ad oggi e anche perché le altre Chiese hanno molto da dare anche a noi.
Avete scelto di andare avanti nonostante le difficoltà, le prove che avete dovuto superare, i rischi. Ci racconta le fatiche di questi anni?
Le difficoltà che abbiamo incontrato lungo la nostra strada vengono soprattutto dall’esterno e derivano per lo più dagli eventi che la vita e la storia impongono, quelli di fronte ai quali non si può fare nulla.
Abbiamo i nostri martiri e il 24 marzo di ogni anno, nel corso della Giornata di memoria dei missionari martiri, insieme ai 12 martiri della Chiesa vicentina, ricordiamo quanti nel mondo hanno dato la vita per gli altri annunciando il Vangelo pregando con particolare affetto anche per i nostri due sacerdoti, don Giacomo Bravo e don Antonio Doppio, uccisi in Sudan dieci anni fa.
Poi ci sono le difficoltà interne, quelle comuni che viviamo quotidianamente come succede nelle grandi famiglie. La mancanza di sacerdoti, le canoniche che si svuotano, i problemi che coinvolgono la comunità cristiana. Verrebbe da pensare: perché guardare ai paesi più poveri e non solamente ai nostri problemi? Anche la grave questione dei migranti ci fa capire che la missione oggi è qui, nella nostra terra e verrebbe spontaneo, quasi più facile, investire nel nostro Paese tutte le energie che abbiamo, smettendo di guardare al resto del mondo. Questo è un grande rischio e sarebbe davvero un grave errore.
Qual è il seme buono che è stato seminato e va ancora seminato?
Rispondo iniziando dalle parole che ci ha lasciato don Hélder Camara, un messaggio che oggi sentono molto forte soprattutto i giovani: «Per quanto importante sia la realtà in cui vivi, ricordati che la tua casa è il mondo e la tua famiglia l’umanità, ed è qui che devi vivere ed è a questo che devi guardare». Questa stessa apertura verso il mondo e verso gli altri, noi la ritroviamo nel Vangelo ed è un messaggio che ci porta a guardare oltre, ci chiede di non chiuderci in noi stessi.
Non saremo mai abbastanza riconoscenti a Papa Francesco, che come Chiesa ci sprona ogni giorno ad allargare i confini del nostro sguardo e della nostra anima per arrivare a vedere lontano, agli altri, seguendo uno dei valori cardine che ci chiede di perseguire il Vangelo.
L’amicizia con il Cuamm, in questo senso, cosa significa?
“Euntes, curate infirmos”, il motto evangelico ispiratore del Cuamm, è al centro di tutte le missioni e anche del Vangelo. Gesù chiedeva di unire l’annuncio fatto di parole e insieme di opere, con un’attenzione particolare ai più deboli e fragili, ai più bisognosi. L’amicizia, la collaborazione con il Cuamm è nata grazie a Monsignor Nonis che con questa organizzazione ha creato un legame molto forte. Gran parte dei nostri missionari, per lo più suore, lavorano con e per i malati. Tante di loro hanno più di 80 anni e da una vita lavorano chine sui malati nei lebbrosari in Sudan, Eritrea, Etiopia e in tante parti del mondo. È questo che fa il Cuamm e noi ci sentiamo legati a questa organizzazione proprio nel condividere questa attenzione ai più deboli.
Cosa significa la testimonianza di Monsignor Nonis oggi per la Chiesa?
Nonis è stato un grande uomo di cultura “prestato” alla pastorale. Ha aiutato tutti noi ad avere uno sguardo più attento alla bellezza, alla cultura, all’arte, poiché proprio la bellezza è una delle vie che ci chiede di percorrere il Signore per salvare il mondo, ed è anche questo il messaggio che ci ha lasciato.
Il contatto con i missionari, i sacerdoti, i laici, il Cuamm, l’Africa l’hanno reso nel tempo un uomo ancor più sensibile e attento. Ha lavorato molto perché la dimensione missionaria della Diocesi si rinforzasse e ci è riuscito. In 15 anni di servizio nella Diocesi si è speso molto e con lui il numero di preti diocesani donati temporaneamente alla missione ha raggiunto il numero più alto. E anche per questo noi lo ringraziamo.