Con una popolazione che rappresenta l’11% di quella mondiale, l’Africa Sub-Sahariana è l’area dove si verifica la metà delle morti materne e infantili. Anche per andare incontro al raggiungimento dei Millennium Developmnent Goals (4 e 5), sono stati messi in atto numerosi interventi per combattere la mortalità di madri e neonati, con particolare attenzione a servizi sanitari qualificati per l’assistenza ai parti. Ma perché la maggior parte delle donne nei paesi a basso e medio reddito continuano a partorire al di fuori dei servizi sanitari istituzionalizzati, aumentando il rischio di morte?
Lo studio, pubblicato da BMC Pregnancy and Childbirth, cerca di dare una risposta a questa domanda. Analizzando i dati raccolti nei distretti di Moroto e Napak in Uganda (dove nel 2010 le percentuali di parti avvenuti in ospedale sono state rispettivamente 19% e 10%), gli autori individuano una serie di ostacoli, legati a quattro aree: fattori socio-culturali, bisogni e benefici percepiti, inaccessibilità economica e inaccessibilità fisica, con prevalenza di questi ultimi due.
La ricerca rappresenta il primo studio qualitativo pubblicato in merito agli ostacoli al parto in ospedale nella regione di Karamoja. Nonostante i numerosi limiti, l’analisi prodotta ha il merito di identificare le principali ragioni delle donne per non partorire in ospedale. Sulla base di questi fattori, gli autori sottolineano la necessità di strategie che mirino ad alleviare la povertà, a migliorare le infrastrutture, a sensibilizzare sulla salute, e soprattutto a trovare un dialogo tra istituzioni sanitarie e figure dei villaggi che seguono il parto in modo tradizionale. Solo un’impostazione globale che tiene conto di questi fattori potrà effettivamente portare risultati importanti e aumentare l’accesso ai servizi sanitari istituzionalizzati, così da colpire direttamente l’alto tasso di mortalità materna.