L’aumento di trattamenti e cure per le persone colpite dal virus di immunodeficienza ha portato alla riduzione su scala globale delle nuove infezioni infantili. Tuttavia, soprattutto in contesti a risorse limitate, nonostante gli sforzi per ampliare l’accesso alla terapia antiretrovirale combinata (cART), l’emergenza rimane alta. Una delle principali cause alla base delle ancora alte percentuali di bambini infetti da HIV è il ritardo nell’identificare i fallimenti del trattamento e quindi nel passare al secondo livello della terapia. Tale ritardo infatti provoca la resistenza ai farmaci e quindi una generale difficoltà a fronteggiare l’infezione.
Partendo da un’analisi comparata sulle terapie attuate negli ospedali di Beira in Mozambico e Nsambya in Uganda tra il 2005 e il 2009 con il sostegno delle ONG Medici con l’Africa Cuamm e Associazione Casa Accoglienza alla Vita Padre Angelo, gli autori dell’articolo, pubblicato a maggio 2014 sul Journal of the Pediatric Infectious Diseases Society, intendono individuare gli indicatori di fallimento dei trattamenti cART sui bambini delle due realtà.
Il fallimento del trattamento è dovuto a fattori quali l’essere contemporaneamente infetti da tubercolosi o altre malattie del quarto settore nella classificazione dell’OMS. Le ragioni del ritardo nel passare alla seconda fase della terapia sono più difficili da individuare, non è cioè chiaro se la responsabilità sia del personale sanitario o se risulti oggettivamente difficile individuare i fallimenti. Ci sono inoltre differenze tra i due paesi, come l’età dei bambini, lo stato di avanzamento della malattia, il numero di visite. Tuttavia, la conclusione cui gli autori giungono presentando i dati raccolti è la fondamentale importanza della semplificazione di criteri clinici e immunologici per identificare i fallimenti della terapia e passare prontamente allo stadio successivo. Solo così è possibile aumentare l’efficacia del trattamento cART.