Il ricordo del dr. Giovanni del Frate, medico Cuamm con lunga esperienza d’Africa.
Padova, 30 novembre 2015 – Un lungo cammino fatto assieme, durato più di 50 anni, carico di ricordi impressi con il bulino, ma custoditi in una teca sigillata dalla sua squisita discrezione fatta di poche parole, frutto di lunghe e sofferte riflessioni.
Un silenzio sofferto e pensoso forse è il modo migliore di restare in sintonia con lui.
Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Aloisius.
Giovane prete diocesano, dai tratti di eterno giovinetto, cui viene affidato il neonato Collegio Universitario per Aspiranti Medici Missionari, con il motto “Euntes, curate infirmos”, sfida condivisa con il prof. Canova.
Un gruppo eterogeneo di studenti provenienti dai paesi più lontani, ancora soggiogati da un colonialismo duro a morire e da una primavera italiana segnata da La Pira, da don Milani, da Paolo VI. E lui, don Luigi, capace di ascoltare tutti, instancabile fino alle ore più impossibili, a significare attenzione, comprensione, condivisione, al di là della spesso impossibile soluzione dei problemi sul tappeto. Quanta sofferenza.
La pazienza, intesa come vera virtù dei forti, che sanno patire insieme a chi hanno di fronte, ma anche la sofferta attesa, in fiduciosa preghiera, nella cappella accanto al suo minuscolo studiolo confessionale, l’attesa di un tempo che non ferisse nessuno, che fosse promotrice di solidarietà, che permettesse di superare le divisioni.
Una lacrima segnò il suo volto scarno nei momenti difficili, non temeva di asciugarla in mia presenza per quanto si era condiviso; ma per ripartire indefesso lungo il percorso tracciato senza tentennamenti, con il passo dei montanari.
Quante montagne abbiamo scalato assieme, con il passo lento, ma inesorabile di chi sa che la meta ti aspetta; e il conversare altrettanto pacato, ma anch’esso inesorabile nello sviscerare senza sconti i problemi e le responsabilità delle tante ingiustizie patite dai più deboli, dai più indifesi, da coloro che non hanno voce.
Solo questo scandalo lo induceva ad alzare la voce, ad assumere il tono della denuncia.
La nascita della cooperazione italiana e internazionale lo ha visto suggeritore dei legislatori, partner paziente di sistemi complessi e spesso non limpidi, ma mai compromesso, sempre libero e trasparente, senza paura di apparire ingenuo.
Pauper, servus et humilis era il suo riferimento mai espresso verbalmente, ma denunciato dalle sue scarpe spesso scalcinate, dalle suo clergymen liso, dal suo copricapo informe, dalla sua borsa logora, dalla sua Fiat da rottamazione.
Non conosceva le ferie, ma negli ultimi anni si era convinto a fare una pausa estiva attratto dalle vette delle Alpi Giulie. Gli sono rimaste nel cuore quelle cime. Qualche giorno fa, in occasione delle prime nevicate, mi ha rievocato a fatica: “la Madonna sotto la neve” alludendo alla Madonna del monte Lussari. Ed ogni sera nella baita di Malborghetto diceva messa sulla tavola, dove poi cenavamo, con vista sullo Jof di Miezegnot. Mia nipote Francesca, di 5 anni, quando le abbiamo detto che don Luigi ci aveva lasciato, è scoppiata in un pianto inconsolabile dicendo. “È morto quello che faceva la chiesa in casa, quello che era mio amico.”